Intervista a Rammarik de Milford, autore di 'Plebei ed Altri Animali'.
L’uscita di “Plebei ed Altri Animali” di Rammarik de Milford e la recensione
uscita pochi giorni fa offrono un ghiotto spunto per fare il punto
della situazione aristocratica italiana e non. A parlarcene, questa
volta, è l’autore che ben si è prestato a dissipare ogni nostro dubbio a
riguardo.
Andiamo con ordine: ma Lei ha scritto questo libro perché non le hanno approvato i quarti di nobiltà per il cavalierato o perché ha litigato con il Gran Maestro su chi dovesse prendere l’ultima tartina al foie gras al ricevimento dai Principi di Sassonia?
Beh, in effetti i buffet sono l’ultimo campo – direi il privilegiato –
nel quale la nobiltà italiana applica ciò che resta del proprio
retaggio guerresco. Negli anni mi è capitato di vedere manovre di
accerchiamento dei tavoli e di penetrazione oltre le prime linee di
approvvigionamento vivande che avrebbero destato l’ammirazione di von
Clausewitz. Venendo alla Sua domanda, sinceramente non ho mai avuto
occasione di misurarmi in singolar tenzone con l’attuale Gran Maestro
che però, per come lo conosco io, ai ricevimenti credo preferisca le
concrete opere di carità a favore dei poveri e dei bisognosi.
Quanto poi al mio cavalierato, non ho requisiti di nobiltà così
antica ed elevata da poter accedere ai gradi di Cavaliere di Grazia e
Devozione e Cavaliere di Onore e Devozione, quindi il problema non si è
posto. So che in tempi recenti taluni miei confratelli con genealogie
simili alla mia sono comunque stati accolti, di diritto e non per
grazia, nelle due summenzionate categorie. Che dirLe? Difronte ai
miracoli l’uomo religioso non può che restare ammirato, e ringraziare
Dio di averlo ammesso alla contemplazione di tali meraviglie. Da uomo di
scienza però mi spiace non poter ammirare più da vicino questi
miracoli, visto che le carte relative ai processi di nobiltà per l’accesso all’Ordine restano secretate per molti decenni…
Nel Suo libro è evidente uno stallo: la nobiltà è una classe sociale (che fu dirigente) completamente estraniata dalla società e fortemente classista verso tutti i non sangue blu, al contempo però, la sua fons honorum, che è il Sovrano, è stato spogliato di qualsiasi potere che aveva per poter creare nobili ex novo utili a rifocillare le file blasonate. C’è una soluzione secondo Lei? Gli svariati movimenti monarchici che auspicano a un ritorno dei Savoia e alla reintroduzione delle prerogative nobiliari potrebbero essere una soluzione a tale problema?
In realtà lo stallo è oramai secolare nel senso che
anche in tempi di monarchia Casa Savoia non provvide ad una politica di
rinfoltimento dei ranghi nobiliari tale da fronteggiare la diminuzione
del numero delle famiglie aristocratiche in Italia. E ciò non lo fece
non solo per l’atavica inintelligenza così evidente anche negli ultimi
rappresentanti, ma anche perché non ne sentiva la necessità visto che
concretamente la riproduzione dei ceti dirigenti nazionali non passava
più, e da tempo, attraverso le forche caudine della concessione di un
qualunque segno onorifico come un titolo nobiliare.
In tale prospettiva un eventuale ritorno della monarchia in Italia
non credo potrebbe invertire il corso di dinamiche strutturali, e dunque
razionali, così ben definite non solo presso di noi ma anche nei
restanti Stati monarchici. Il tutto, naturalmente, ammesso e non
concesso che in Italia potrà mai tornare una monarchia, evento con il
quale, oltre a determinarsi la rottura del presente ordinamento
costituzionale che rifiuta chiaramente il principio dinastico,
si avrebbe anche un notevole affievolimento di ogni principio di
uguaglianza sostanziale, e quindi una mostruosa regressione della nostra
civiltà giuridica. Personalmente, è un qualcosa che davvero non
auspico.
Ma nell’Annus Domini 2018, ha ancora senso parlare di classi sociali ferree? Ha ancora senso legittimare la nobiltà a vantare certe prerogative giuridiche come avviene nel resto d’Europa?
Assolutamente no, ma questi signori non lo vogliono capire.
Come ho spiegato nel libro, costoro sono indisponibili a smettere di
costruire quinte barocche nelle quali recitare a soggetto la loro oramai
macchiettistica parte in società. Oltre che per sociostruttura, tali
condotte sociali sono evidentemente dovute alle verisimili patologie
psichiatriche dalle quali sono affetti i componenti più aggressivi e
organizzati del ceto. Nel libro ho riferito solo ciò che potevo
documentare, ma non ha idea di quante ne ho viste in questi anni. Ho
conosciuto un nobile, particolarmente impegnato nella militanza cetuale,
che usava come copriletto una coltre funebre in velluto nero
opportunamente decorata con stemmi della propria famiglia, e che
collezionava reliquie di santi in apposite teche barocche ma solo “ossa
lunghe”. Uno psicanalista direbbe trattarsi di sublimazione di altre e
più dinamiche lunghezze. Oppure quella contessa che faceva dormire il
fidanzato della figlia in una apposita ala della propria casa di
famiglia ritenendo tuttavia di salvare la morale con il dire che i due,
evidentemente non ancora sposati, comunque “non dormivano sotto lo
stesso tetto” in quanto il tetto del maniero avito era spiovente e la
stanza del fidanzato era in corrispondenza della porzione di tetto
opposta a quella della figlia.
O come quel principe romano che conservava i propri dentini da latte
di quando era bambino perché partecipi della sacralità della sua persona
in quanto nobile (mi sono sempre chiesto cosa facesse di unghie e
capelli…). O ancora quell’attempato e scapolo principe che veniva a
tutti i ricevimenti rigorosamente accompagnato dalla mammà
ultracentenaria con la veletta in testa. Insomma, personaggi che
sembrano usciti dai libri di Mario Praz o dai romanzi di William
Thackeray o, peggio ancora, da un’operetta di metà Ottocento! Il tutto
in un clima decadente di profonda infelicità e ipocrisia
che, come può vedere, ha del surreale. E questo spiace, anche perché
la nobiltà militante che ha colonizzato le strutture ecclesiastiche ad
essa ancora riservate è numericamente una infima minoranza fra gli
appartenenti al ceto. La maggior parte dei membri di famiglie blasonate
conduce vite assolutamente normali, e spesso ha appena una pallida
consapevolezza di discendere da magnanimi lombi.
A Suo avviso, l’istituzione sociale che più si è appiattita ai tempi moderni è stata la Monarchia che per fortuna o purtroppo è stata privata di qualsiasi diritto o lo Stato Pontificio che nonostante goda ancora di quasi tutte le sue prerogative nobiliari ha deciso di non sfruttarle più e addirittura di smantellare la propria Corte sotto il pontificato di Paolo VI?
Mah, non parlerei di appiattimento anche perché, come ho provato a
dimostrare nel libro, in genere la perpetuazione di istituti giuridici
che non hanno più corrispondenza nella sostanza dei rapporti sociali
determina, come nel caso dei nobili, fenomeni grotteschi, deformi, che
sinceramente non fanno onore ai trascorsi di istituti sociali che pure
avevano una propria dignità e un proprio decoro. Così è stato anche per
la monarchia in Italia laddove, in quanto ente non più esponenziale di
interessi economicamente e socialmente vitali, è stata lasciata cadere
da quelle forze che volendo l’avrebbero potuta salvare almeno quale
fattore contenitivo di eventuali avanzate rivoluzionarie.
Per la Chiesa è diverso, in quanto la sua natura giuridica è
strumentale, almeno così dice, al fine suo proprio che è la salvezza
delle anime. In questo caso, Paolo VI fece
evidentemente la scelta di sacrificare il rapporto privilegiato col ceto
nobile irrimediabilmente sconfitto cercando di creare relazioni con
uomini nuovi. Quanto ciò sia stato un successo lo lascio dire a chi è
più versato di me in queste cose. Non posso però che rilevare la palese
mancanza di progetti per l’Ordine di Malta da parte di chi ha aperto,
con una certa ruvidezza, il processo di riforma dell’Ordine. Temo
infatti che, ottenuto il controllo degli aspetti più propriamente
economici, la Santa Sede lascerà fare all’Ordine su tutto il resto.
Prevedo dunque che, tranne qualche ritocco, verrà mantenuta la natura
nobiliare dell’istituzione destinandola dunque a rimanere
quell’incubatrice di nevrosi esistenziali che è ora.
In alcuni capitoli Lei racconta di aneddoti per nulla felici su alcuni comportamenti di tali cavalieri blasonati di Malta, ma tra gli stessi nobili v’è un’ulteriore discriminazione? Mi riferisco ovviamente alla differenza di Quarti, di avi, o se si proviene da una famiglia con nobiltà di spada, toga o civica.
La maggior parte delle distinzioni fra nobili sono venute meno.
Volendo semplificare, credo che il ceto nobile possa distinguersi in
tre sottogruppi. Una prima componente è composta da famiglie di nobiltà altissima,
con titoli principeschi, ducali, comunque molto antica e ancora molto
ricca. Questa componente è quella più cosmopolita, sovente imparentata
con famiglie della ricchissima borghesia internazionale. Questi nobili
praticamente non si vedono, e le occasioni di intercettarli per chi non
ha capacità di spesa elevate o lignaggi particolarmente prestigiosi sono
pressoché nulle. Per dirla in poche parole, questi sono i nobili “che
si divertono” e che si vedono mollemente adagiati su barche di lunga
metratura puntualmente fotografate sui rotocalchi.
Un secondo gruppo è composto da nobiltà di media levatura,
in genere impegnata nella beneficenza cattolica e quindi negli ordini
cavallereschi. Questi sono i militanti, gli impegnati, sovente non più
ricchi ma particolarmente dediti a frequentare circoli, ordini
cavallereschi, enti certificativi della propria superiorità per casta.
Sono quelli che ho incontrato e frequentato fin da ragazzo, e su cui ho
tarato il mio studio. Poi c’è la maggioranza dei nobili che, come
dicevo, sa a mala pena di essere tale, vive e lavora come tutti senza
sviluppare peculiari condotte oppositive ai principi egualitari
dell’ordinamento repubblicano. Al di fuori di queste distinzioni
concrete perché basate sul tenore e sullo stile di vita non credo si
possa differenziare altrimenti, al di fuori naturalmente dei
pettegolezzi sempre correnti di bocca in bocca sulla maggiore o minore
nobiltà di questo o quel nobile…
Qual è il Suo rapporto con il Sovrano Militare Ordine di Malta? Intrattiene altri rapporti con ulteriori ordini cavallereschi?
La mia scelta di scrivere sotto pseudonimo aveva lo scopo di provare a
mantenere qualche contatto con l’Ordine di Malta così da seguire
l’evoluzione della situazione dall’interno, soprattutto per quanto
riguarda il processo di riforma intrapreso dal Pontefice. E ciò avrei
fatto se il mio gusto per l’aneddotica ed uno stile di scrittura
abbastanza riconoscibile non mi avessero reso individuabile ad un laido
confratello che, naturalmente, ha spifferato tutto facendo saltare la
mia copertura. Preso atto di questo, ho deciso di svelare la mia
identità e con apposita raccomandata spedita i primi di aprile di
quest’anno ho comunicato formalmente all’Ordine di essere l’autore del
libro invitando “pannellianamente” chi di competenza ad applicare la sua
propria legalità per accertare le mie responsabilità disciplinari.
Questa mia autodenuncia ad oggi non ho avuto nessuna risposta, quindi non so dire cosa sarà di me quale membro dell’Ordine di Malta.
Avevo altri due ordini cavallereschi al collo. Da uno mi sono già
dimesso, quanto all’altro sto aspettando che si definiscano i miei
rapporti con l’Ordine di Malta per valutare se e quali scelte spirituali
fare nel futuro. Le confesso che questo libro è stato per me una
intensa forma di autoanalisi che mi ha spinto a prendere definitivamente
atto che certe realtà, delle quali mi sentivo parte attiva, non è bene
che esistano più. Ma, devo essere sincero, ancora più deludente è stato
il silenzio assordante con il quale questi signori, evidentemente
carenti di attributi maschili oltre che di spirito cavalleresco, hanno
circondato il mio lavoro. Tutto quello che ho scritto è ampiamente
documentato, ma non una richiesta di contatto, di chiarimento o di
confronto è pervenuta da nessuna delle istituzioni o delle persone da me
citate. Nulla di nulla. Non posso che prenderne atto e andare avanti
nei miei studi.
Quali sono le sostanziali differenze tra la nobiltà nostrana (la quale, come Lei fa notare, a sua volta ha significative divergenze tra quella storicamente sabauda e quella borbonica) e quelle europee? E se sì, quella italiana, può sperare in una rivalsa nel futuro?
Le potrei rispondere se conoscessi approfonditamente la situazione
attuale, anche patrimoniale, delle altre nobiltà europee. A spanne direi
che un certo maggiore dinamismo, inteso come possibilità di accesso per
chi ne abbia desiderio, può riscontrarsi nel Regno Unito dove un
cittadino o un residente può registrare il proprio stemma presso i Re
d’Armi ed avere formalmente accesso alla locale aristocrazia, sebbene al
gradino più basso. Chi poi ha qualche disponibilità economica e una
certa dose di eccentricità può, anche se straniero, comperarsi un titolo
baronale scozzese, ultimo “fossile giuridico” di un tempo nel quale
l’esborso di denaro collegato all’ottenimento di un onore non procurava
negli stessi nobili risolini e gomitate. Anche perché, molti aristocratici non lo sanno o fanno finta di non saperlo,
ma in Italia quasi sempre nel passato, anche non eccessivamente
risalente, si doveva pagare per diventare nobili. Quanto alla nobiltà
italiana, vedo per essa una lenta estinzione biologica, tanto più dolce
quanto più accompagnata dalla presa d’atto che circoli, associazioni,
ordini cavallereschi e altri luoghi di endogamia non varranno a smentire
ciò che Hegel andava dicendo, ossia che “il reale è sempre razionale”.
E, se lo lasci dire da chi conosce l’ambiente per come è attualmente, è
bene che finisca così.
A quanto pare, la nobiltà italiana è destinata ad avere ancora poca
vita e le parole dell’autore ci danno un’idea ancora più chiara di
quanto ormai questo mondo stia andando verso una lotta titanica verso il
tempo. L’aristocrazia ormai si è ridotta a far peso e leva su quei
nobili di “secondo gruppo” (citando lo scrittore) che si aggrappano come
bambini alle gonne ai loro quarti e ai loro blasoni mentre il “primo
gruppo” viaggia in yacht e resort non crucciandosi minimamente né di
titoli, né di missioni salvifiche, né di status quo o rispettabilità
sociale. Probabilmente l’istituzione della monarchia è destinata a
sfumare anche nei sogni dei più reazionari pensatori o forse,
semplicemente, citando Codreanu (noto filomonarchico):
Non abbiamo bisogno di programmi, ma di uomini (nobili ndr.) nuovi.
http://www.lintellettualedissidente.it/letteratura-2/discorsi-sopra-la-nobilta/