lunedì 26 novembre 2018

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Stefano Durazzo di Gabiano, Lali Panchulidze e Alberto Uva Parea
Il Colonnello Stefano Manni e il Cavaliere Stefano Linati
Gen.Cosimato, Lali Panchulidze, Prof.Dugin, On.Ciocca e Maya Bubashvili

mercoledì 14 novembre 2018

Libri, storia e cultura...

Chi era davvero l’arciduca Franz Ferdinand, il cui assassinio, il 28 giugno 1914, ha provocato lo scoppio della Prima guerra mondiale? A presentare un ritratto originale e del tutto inedito di Francesco Ferdinando d’Austria-Este, nella prima biografia in Italia a lui dedicata, è il libro dello storico Roberto Coaloa, per i tipi di Parallelo 45 Edizioni, con il titolo Franz Ferdinand. Da Mayerling a Sarajevo. L’erede al trono Francesco Ferdinando d’Austria-Este (1863-1914).

Una domenica di giugno, cento anni fa, avvenne il fatto che divide nettamente in due la storia del nostro tempo: nell’attentato di Sarajevo furono uccisi l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie Sophie. Prima di quel giorno, esisteva un mondo che presto sembrò antico. Dopo quel giorno, è già il nostro presente. Se le osserviamo da vicino, quelle ore attraversate da un fato beffardo e inesorabile appaiono gremite di fantasmi, come quello di Rodolfo e dell’Imperatrice Elisabetta, e piene degli ultimi atti e del rovello interiore del personaggio più tragico della Duplice Monarchia, l’Imperatore Francesco Giuseppe, che si inquieta per i funerali del nipote Franz Ferdinand come se tutto il resto (la minaccia di una guerra mondiale) non contasse. Sfila la diplomazia cinica della belle époque, accanto ai ragazzini dell’attentato di Sarajevo, Gavrilo Princip e Nedeljko Čabrinović, in un valzer irresistibile, divertissements di una Vienna fin de siècle. Franz Ferdinand finirà dissanguato sotto i colpi di Sarajevo. Nessuno saprà aprirgli l’uniforme, cucitagli addosso a filo doppio.

Il volume di quattrocento pagine, con un archivio fotografico inedito, è arricchito da una prefazione dell’Arciduca Martino d’Austria-Este e da una postfazione di Luigi Mascilli Migliorini, professore di storia moderna e accademico dei Lincei, che osserva: «È difficile spiegare meglio di Roberto Coaloa il senso di una data come il 28 giugno 1914; una data che non può certo vantare la gloria di altre, squillanti di attese – il 14 luglio del 1789 ad esempio –, ma che come poche altre ha assunto il peso di una cesura tra tutto quello che c’è stato prima e tutto quello che è avvenuto poi».

L’Arciduca Martino d’Austria-Este ci riporta al centenario della Prima guerra mondiale, notando: «Il presente lavoro, che lo storico Roberto Coaloa ha dedicato al mio pro-prozio Franz Ferdinand, l’erede al trono degli Asburgo, assassinato a Sarajevo con la moglie, il 28 giugno 1914, è un importante studio che ci fa comprendere il dramma della Grande Guerra e le sue origini più profonde. Il conflitto mondiale, che invase l’Europa nell’estate del 1914, portò alla mobilitazione di 65 milioni di soldati e provocò milioni di perdite, anche fra i civili. La stima attuale è 20 milioni di morti e 21 milioni di feriti. Le dittature comuniste, naziste, fasciste, la Seconda guerra mondiale e molti problemi dell’attuale Europa, non ancora unita culturalmente, derivano da questa immane catastrofe innescata dalla morte di Franz Ferdinand».

Roberto Coaloa (già autore della biografia di successo Carlo d’Asburgo l’ultimo Imperatore. Il “gentiluomo europeo” profeta di pace nella Grande Guerra) indaga in profondità la vita di Franz Ferdinand, scoprendo il suo amore per la civiltà giapponese, il suo buon senso in politica, scovando testimonianze dei contemporanei e documenti inediti. Ci suggerisce lo storico: «L’arciduca, se fosse salito al trono, avrebbe salvato il secolare Impero degli Asburgo dalla catastrofe».

Roberto Coaloa (Casale Monferrato, 1971) è storico, critico letterario e scrittore, esperto di Risorgimento e Novecento, docente universitario e autore di saggi dedicati ai viaggiatori dell’Ottocento. Ha approfondito il pensiero del grande scrittore russo Lev Tolstoj, del quale ha scoperto alcune lettere e testi inediti, pubblicando per Feltrinelli il saggio Guerra e rivoluzione. È studioso degli Asburgo, in particolare dell’ultimo Imperatore Carlo.
È professore all’università di Paris-IV Sorbonne. È stato docente all'Università Statale di Milano nel corso di Scienze delle Comunicazioni, dove ha avviato un laboratorio di scrittura, diventato oggi un blog. È docente alla Summer School «L’impresa culturale nel Mediterraneo» dell’Università Orientale di Napoli, per la creazione di eventi, promozione e sviluppo del marketing nel territorio mediterraneo. Dal 2002 collabora al supplemento culturale del Sole 24 Ore, dal 2012 con il quotidiano Libero e dal 2018 con il quotidiano La Stampa.

Martino d’Austria-Este (Boulogne-sur-Seine, 1959) È figlio dell’Arciduca Robert d’Autriche-Este (nato nel castello di Schönbrunn, l’8 febbraio 1915, morto a Basilea il 7 febbraio 1996), terzogenito dell’imperatore Carlo e dell’imperatrice Zita, e della principessa Margherita di Savoia-Aosta (nata a Capodimonte, il 7 aprile 1930), figlia di Amedeo di Savoia, III duca d’Aosta (1898-1942), e della principessa di Francia Anne-Hélène Marie d’Orléans (1906-1986). “Martino” è quindi il nipote di due nonni illustri: Carlo, l’ultimo imperatore, e Amedeo, vicerè d’Etiopia, morto a Nairobi, il 3 marzo 1942, dopo la resa sull’Amba Alagi. 

L’Arciduca vive in Italia, a Sartirana Lomellina (PV), dove svolge la sua attività di imprenditore agricolo. È sposato alla principessa Katharina von Isenburg, dalla quale ha avuto quattro figli: Bartolomeo, Emanuele, Elena e Luigi.




POSTFAZIONE DI LUIGI MASCILLI MIGLIORINI

È difficile spiegare meglio di Roberto Coaloa in questo bel volume, Franz Ferdinand. Da Mayerling a Sarajevo. L’erede al trono Francesco Ferdinando d’Austria-Este (1863-1914), il senso di una data come il 28 giugno 1914; una data che non può certo vantare la gloria di altre, squillanti di attese – il 14 luglio del 1789 ad esempio -, ma che come poche altre ha assunto il peso di una cesura tra tutto quello che c’è stato prima e tutto quello che è avvenuto poi.

L’attentato di Sarajevo è, senza possibilità di dubbio, il momento in cui la finis Europae, tante volte annunciata, si materializza in forma definitiva, irrevocabile. E se poi accade – come in realtà è accaduto – che questa fine si sia trascinata assai più a lungo di quanto potesse prevedersi, al punto che ancora oggi ne guardiamo e ne commentiamo gli ultimi, preoccupanti e melanconici esiti, Sarajevo si staglia come il giorno che orienta, indirizza tutti i discorsi possibili sul tramonto della civiltà europea.

La figura che la storia lega indissolubilmente a quella data e a quel luogo è l’erede al trono dell’Impero asburgico, Francesco Ferdinando d’Austria-Este; figura destinata, tuttavia, davanti alla grandezza dell’evento che allora si produce e a tutto quello che da esso si genera, a rimanere nell’ombra, personaggio alquanto incolore a cui, nella distribuzione delle parti nella tragedia, il regista riserva il ruolo di occasionale, anonimo pretesto per lo scatenarsi del dramma.

È giusto, quindi, che oggi – a cento anni da quel giorno – ci si interroghi con maggiore attenzione su questo personaggio, si indaghi attentamente, quasi affettuosamente, come fa Roberto Coaloa, il formarsi di un’esistenza che altrimenti sembrerebbe essere venuta al mondo solo per trovarsi casualmente una domenica mattina di giugno in una strada di una città balcanica, per consentire al Destino (altri la chiamerebbero la Storia) di svolgere il proprio disegno. Le sue letture, i suoi viaggi, le sue passioni, l’amore tenace per una donna, Sophie Chotek, che egli sposa anche forzando le convenienze di una Corte, quella asburgica, particolarmente legata ai modelli della tradizione, non possono, insomma, essere stati solo dei trascurabili particolari di una vita che trova la sua ragione (non oso dire la sua gloria) nel diventare il casus di un suicidio collettivo.

Si provi, dunque, a immaginare, con l’aiuto di queste pagine, una vita scritta come sono normalmente le vite, a partire dall’inizio e non dalla fine. Se ne apprezzino i successivi arricchimenti, i crocevia, i dubbi e le scelte, le casualità che solo la tragedia di Mayerling indirizza verso un esito inatteso e fatale. Ci si spinga persino – come l’autore sollecita a fare – fino al punto di immaginare un mondo diverso nel quale Franz Ferdinand non viene ucciso a Sarajevo il 28 giugno 1914, non scoppia la guerra in Europa e l’Impero asburgico riesce, anche grazie alla visione politica del successore di Francesco Giuseppe, a risolvere i difficili problemi che il suo lungo regno, nato sulle barricate del 1848 e finito nelle trincee di Verdun, aveva trascinato irrisolti. Si provi, dunque, il sottile piacere dell’ucronia di cui è intessuto questo libro, non per sciocco desiderio di evasione dalle maglie soffocanti della Storia quale essa, irrevocabilmente, è stata; al contrario, per capire meglio questa Storia e, una volta capita, avere con essa un rapporto meno obbligato, meno opprimente.

Roberto Coaloa ricorda, assai opportunamente, che Franz Ferdinand si muoveva ancora nella scia della tradizione, mai definitivamente smarritasi a Vienna, che si era incarnata nella prima metà del secolo XIX nella figura del principe di Metternich. A lui si dovevano alcuni assunti fondamentali che avevano garantito la sopravvivenza dell’Impero asburgico durante la tempesta napoleonica, ne avevano assicurato la centralità politica dopo il Congresso di Vienna, gli avevano consentito di superare la crisi tutt’altro che trascurabile dei domini italiani, rimanendo al centro dell’equilibrio continentale. Questi assunti, sul piano delle relazioni internazionali, possono riassumersi, da un lato, nel mantenimento della integrità dell’Impero ottomano e, dall’altro, nella radicale diversità di orizzonti dalle aspirazioni all’unità tedesca; nella distanza profonda che – al di là di ogni opportuna e contingente alleanza – avrebbe diviso l’Austria dalla Prussia.

Su entrambi questi punti-chiave la politica asburgica si era assai allontanata dalla ispirazione di Metternich e si presentava, il giorno prima di Sarajevo, sostanzialmente indebolita nelle sue capacità di manovra e di mediazione nell’inquieto scacchiere continentale. Per un verso, infatti, la diplomazia austriaca si era “accomodata” nella Triplice Alleanza in una condizione di progressiva subalternità alla potenza tedesca, che era una condizione non solo politica e militare (forse inevitabile), ma una condizione, per così dire, ideologica, nel senso che (e questo era inevitabile) il Reich guglielmino appare via via a Vienna come il plausibile approdo del mondo tedesco, quasi un Anschluss mentale e anticipato che il principe Metternich avrebbe contemplato con orrore e preoccupazione, e con lui il suo discepolo Franz Ferdinand.

Per altro verso – e su questo le osservazioni di Roberto Coaloa sono particolarmente stimolanti – l’occupazione della Bosnia-Erzegovina nel 1908 segna un punto di non rottura e di non ritorno nella tradizione della diplomazia asburgica. A partire da questa data, infatti, l’Austria non può più ritenersi garante dell’integrità ottomana, ma questo significa, in termini più generali, che l’Austria non è più la solida garante (le rocher avrebbe detto Metternich) dell’equilibrio europeo così come esso si era costituito cento anni prima nel Congresso di Vienna e come si era conservato attraverso le molteplici crisi e perturbazioni di un lungo e complicato secolo.

Nel sommarsi di questi due elementi la politica austriaca non avvertiva, tuttavia, i profondi pericoli che vi nascondevano. Trascinata dall’Impero germanico a una ridiscussione radicale dell’equilibrio europeo, Vienna non aveva la preparazione, e soprattutto non aveva obiettivi capaci di reggere e rendere accettabile lo sforzo drammatico che quella ridiscussione avrebbe comportato. Sonnambulo tra i sonnambuli, l’Impero asburgico si consegna alla propria fine senza quasi avvedersene. E qui certo fa eccezione Franz Ferdinand che Roberto Coaloa mostra, al contrario, ben avvertito dei rischi di questa politica e disposto a esplorare persino dei “rovesciamenti di alleanze” che avrebbero potuto condurre l’Austria-Ungheria a una ripresa di relazioni, se non a un’alleanza con le potenze occidentali.

Se ciò fosse accaduto, Franz Ferdinand si sarebbe rivelato uno dei più straordinari discepoli della duttile diplomazia metternichiana, un interprete tardivo e felice della capacità dell’antico cancelliere di Francesco I, di mantenere l’Austria al centro di un sistema di alleanze multiple e, dunque, al centro dell’equilibrio europeo. Se ciò fosse accaduto nessuno, però, ricorderebbe la data del 28 giugno 1914.

Aristo Libraria...