martedì 15 maggio 2018

"Nobiltà ed élites tradizionali"...

 
Prefazione di S.A.I.R.
il Principe Luiz de Orléans e Braganza
Capo della Casa Imperiale del Brasile

Per comprendere pienamente quest'opera di Plinio Corrêa de Oliveira è necessario tenere presente le principali sfaccettature della sua vita pubblica: scrittore, uomo d'azione, ma soprattutto pensatore.
Un pensatore dedicato meno alla mera speculazione dottrinale che all'analisi del secolo in cui vive, dei problemi che lo tormentano e, secondo le soluzioni date a questi problemi, delle vie sulle quali viene condotta la storia umana.
Secolo questo che si presenta ribollente e tumultuoso, in gran parte contraddittorio e bizzarro. Il suo inizio fu infatti caratterizzato da gioie e piaceri della Belle Epoque e anche dalla magnificenza dell'Esposizione Universale di Parigi. Eppure esso si avvia verso la fine in mezzo a incertezze e preoccupazioni, nella previsione di avvenimenti che condurranno forse a un caos universale o perfino ad una ecatombe atomica.
Possiamo, dunque, considerare nel nostro secolo, da questo punto di vista, due fasi ben distinte.
La prima è apertamente ottimista. In essa gli uomini, remoti eredi del Secolo dei Lumi, credevano nel successo indefinito di tutti i loro sforzi per il progresso. Il movimento generale dei popoli, delle istituzioni e dei costumi, veniva spinto, abitualmente, da alcune convinzioni che erano patrimonio del senso comune, ma che erano state considerate in maniera ipertrofica ed esclusivista dalla precedente epoca dell'illuminismo. Fra queste convinzioni, c'era quella secondo cui l'umana ragione – essendo infallibile se nettamente usata - era guida autosufficiente per individuare la felicità terrena e i mezzi per ottenerla.
Inoltre, l'intelletto umano aveva già accumulato un'imponente congerie di conoscenze, nei campi più svariati, adatta ad assicurare nel secolo ventesimo, e anche nei secoli successivi, un alto grado di giustizia, di benessere, di multiforme miglioramento delle condizioni di vita e, conseguentemente, una felicità terrena perfetta.
Questo processo ascendente era chiamato progresso, e il complesso dei metodi di azione con i quali si realizzava la gloriosa e indefinita ascensione del progresso veniva chiamata tecnica.
Grazie a questo processo, l'umanità si trovava a un apice di civiltà mai visto prima, nel quale erano assenti i sintomi di ignoranza, rudezza e crudeltà, caratteristici dei tempi antichi.
Quale potentissimo sostegno del progresso, l'uomo doveva contare sull'evoluzione: forza immanente a tutti gli esseri, ancora misteriosa, e che provocava una continua ascensione, il cui vertice supremo era impossibile raggiungere.
Esempio caratteristico delle ambiziose speranze suscitate dalla cooperazione di questi fattori fu la decisione, espressa in diverse disposizioni testamentarie di questo secolo, secondo la quale il testatore disponeva che il suo cadavere fosse conservato intatto, in speciali camere frigorifere, nella speranza che l'evoluzione e il progresso, con la loro azione congiunta, facessero scoprire i mezzi per realizzare la resurrezione dei morti...
È certo che, in quel mezzo secolo di giubilo universale, due tragedie di grande portata avrebbero opposto una crudele smentita a tante allucinate speranze: le guerre mondiali.
Tuttavia, dopo la conflagrazione mondiale del 1914-1918 cominciò l'allegro periodo generalmente denominato “entre deux guerres”, che sarebbe stato interrotto dalla nuova guerra mondiale nel 1939. Sebbene quest'ultima, finita di fatto con le esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki, fosse stata ancora più universale, mortifera, devastatrice e lunga che la prima, la forza di propulsione verso la felicità terrena assoluta era talmente grande che, appena terminata, l'atmosfera festosa di ostinato ottimismo avrebbe subito ripreso la sua marcia.
Ecco come la Costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II ha descritto le condizioni di vita nelle quali le sembrava che fosse immersa la società contemporanea, aprendole le braccia allo scopo di godere insieme questa gioia universale:
“Le condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, così che è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana. Da qui si aprono nuove vie per perfezionare e più largamente diffondere la cultura. (...) Le scienze dette esatte affinano grandemente il senso critico; i più recenti studi di psicologia spiegano con maggiore profondità l'attività umana; le scienze storiche giovano assai a far considerare le cose sotto l'aspetto della loro mutabilità ed evoluzione; i modi di vita e i costumi diventano sempre più uniformi; l'industrializzazione, l'urbanesimo e le altre cause che favoriscono la vita comunitaria creano nuove forme di cultura (cultura di massa), da cui nascono nuovi modi di pensare, di agire, d'impiegare il tempo libero; lo sviluppo dei rapporti fra le varie nazioni e le classi sociali aprono più ampiamente a tutti ed a ciascuno i tesori delle diverse forme di cultura, e così a poco a poco si prepara una forma più universale di cultura umana, che tanto più promuove ed esprime l'unità del genere umano, quanto meglio rispettale particolarità delle diverse culture (...).
“I teologi sono inoltre invitati, nel rispetto dei metodi e delle esigenze proprie della scienza teologica, a ricercare modi sempre più adatti per comunicare la dottrina cristiana agli uomini della loro epoca (...).
“Nella cura pastorale siano sufficientemente conosciuti e usati non soltanto principi della teologia, ma anche le scoperte delle scienze profane, in primo luogo della psicologia e della sociologia (...).
“I fedeli dunque (...) sappiano armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle nuove dottrine e delle più recenti scoperte, con la morale e il pensiero cristiano, affinché la pratica della religione e l'onestà procedano in essi di pari passo con la conoscenza e col continuo progresso della tecnica” (Gaudium et Spes, n. 54 e 62).
Questo era il modo in cui la grande maggioranza degli uomini - formati spiritualmente e culturalmente dalla civiltà occidentale - vedeva il futuro. Condividevano questa visione intellettuali di rinomanza universale, statisti e uomini di azione di grande spicco.
Ma... in quale situazione storica non serpeggia un “ma”? A poco a poco anche il “paradiso” del progresso cominciava a scontentare.
Parallelamente all'unanimismo ottimista, un altro modo di vedere, di sentire e di agire veniva formandosi nella penombra e nel silenzio. Tuttavia, mentre per quest'ottimismo erano aperte pienamente le porte dell'apparato pubblicitario, all'altro i mass media non concedevano volentieri spazio, per cui esso era ridotto a sopravvivere negli angolini della società di allora, nei quali il liberalismo dominante non trovava pretesto per perseguitarlo.
Questo piccolo mondo - mantenuto così nell'oscurità - costituito da un pubblico eterogeneo e attivo, era formato dagli elementi più diversi.
Bisogna menzionare, innanzitutto, coloro che contestavano il valore della ragione umana, mettendo in questione l'intero edificio grandioso, ma pregno di frustrazioni, della civiltà occidentale.
Nel loro pensiero non era difficile discernere l'influenza dei filosofi tedeschi, anteriori perfino alla Rivoluzione francese: di Kant, per esempio, secondo il quale il concetto formato dalla ragione non sarebbe fedele, ma influenzato da fattori soggettivi che ne falserebbero l'oggettività. Dalla critica della ragione e della conoscenza, egli scivolò nel soggettivismo e in un certo qual immanentismo. Nei suoi seguaci - Fichte, Schelling, Hegel e altri - questo immanentismo si smembrò in teorie panteiste.
Era l'antico panteismo, di origine induista e buddista, da molto diffuso in grandi estensioni dell'Asia e che appariva ora nella storia dell'Occidente.
Questo soggettivismo e questo panteismo prese carattere di pessimismo in Schopenhauer e di disperazione in Nietzsche. L'apologia dell'angoscia fatta dai padri dell'esistenzialismo moderno (Kierkegaard, Heidegger) non sembra slegata da tali tendenze generali.
Questo pensiero andò prendendo terreno in circoscritte ma elevate sfere intellettuali europee durante i secoli XIX e XX.
Contemporaneamente l’ “american way of life” diffuso dappertutto da Hollywood e considerato da innumerevoli contemporanei come lo stile di vita più coerente, col trionfo congiunto della ragione, del progresso e della evoluzione - cominciava a venir messo in questione a causa degli inconvenienti dello stesso sistema capitalistico.
Effettivamente, l'entusiasmo per la velocità nelle comunicazioni e nei trasporti, per l'intrecciarsi di tutti i campi dell'attività umana, provocò in ogni parte del mondo una febbre generale. Un febbricitare di mentalità, di aspirazioni, di sensazioni, di ambizioni, di attività, di business... di deliri, che finì col produrre molti e vari disturbi fisici e mentali che vanno aggravandosi di giorno in giorno e presagiscono la crisi generale dello Stato, della società, della cultura e della famiglia. Non è necessario dissertare a lungo, poiché è evidente che ciò sfocerà in una crisi globale molto più terribile: la crisi dell'uomo.
Un'altra classe di scontenti - peraltro ben diversa - era formata da coloro che pur contemporanei alla festosa approvazione della Costituzione conciliare Gaudium et Spes, testimoniavano il nascere e il diffondersi della gigantesca crisi che cominciava a manifestarsi in tutta la Chiesa dopo la chiusura del Concilio Vaticano II.
Una crisi che si presenta oggi ben più grave per la nascita della Teologia della Liberazione, per il serpeggiare di un certo ecologismo e di un certo sub-consumismo pauperista e pseudo-evangelico, che vede nelle condizioni di vita tribali l'organizzazione della società umana!
La situazione che si presenta oggi davanti a noi non era stata prevista dal candido ottimismo dei Padri Conciliari del 1965.
Questo candido ottimismo mi suscita un sorriso melanconico e rispettoso, che sorprenderà certi cattolici che non comprendono la filiale fedeltà alla Santa Chiesa e al Papato che mi vibra nell'anima nel momento stesso in cui scrivo queste righe.
Questo rispetto mi porta ad accettare con tutto il cuore che il Divino Fondatore della Chiesa l'ha voluta retta da un Papa infallibile, in tutti i campi e nelle condizioni in cui Egli lo ha voluto infallibile; e fallibile in tutti i campi e nelle condizioni in cui l'ha voluto fallibile, ossia per esempio nella valutazione delle circostanze concrete in cui vengano a trovarsi questi o quegli uomini, queste o quelle situazioni.
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Lo scontento che, ai margini del festoso trionfalismo del dopoguerra e del post-Concilio, si sviluppava in oscurità sempre più tenui e in una dimensione sempre meno corpuscolare, esplose d'improvviso nel 1968. È accaduto nella rivolta della Sorbona, le cui conseguenze aprirono per il mondo orizzonti di follia, di corruzione morale e di caos fino allora insospettati dalla grande massa.
A poco servì che una gigantesca protesta anti-sessantottina sfilasse sulle strade di Parigi, nella famosa marcia di un milione di persone, mosse dall'entusiasmo vigoroso e sereno dell'età matura, o che contro la ribellione si levassero da tutte le parti voci di protesta, molte delle quali risonanti del meritato prestigio di varie personalità.
Dal '68 ad oggi sono avvenuti, in molteplici sfere del pensiero e dell'azione umani, sensibili mutamenti. Quasi sempre, questi fecero in modo di trasformare il mondo di oggi in modo molto più consono alle mete della rivoluzione del Maggio francese.
Il caos va diffondendosi dovunque. Dimostrarlo, sarebbe in questa sede superfluo e impossibile: superfluo, perché al giorno d'oggi non percepisce tale caos colui che è stato da esso accecato e ha perso di conseguenza la vista; impossibile, perché il caos è così universale che sarebbe impraticabile trattare, nella semplice prefazione di un libro, tutto ciò che esso fa o in cui opera. D'altronde, si vi dedicassi questa prefazione, essa diventerebbe più voluminosa dello studio che intende presentare ai lettori.
Quanto finora esposto non ha avuto che lo scopo di delineare, il più sinteticamente possibile, il quadro generale dell'epoca in cui Plinio Corrêa de Oliveira ha svolto la sua azione di pensatore, di maestro e di leader cattolico conservatore di fama universale.
Egli proviene da due illustri famiglie brasiliane. Dal lato paterno, dalla nobile famiglia dei Corrêa de Oliveira, di proprietari di piantagioni di canna da zucchero nel Pernambuco. Fra i suoi membri che ebbero un ruolo rilevante nella vita pubblica merita una menzione particolare João Alfredo Corrêa de Oliveira, senatore a vita dell'Impero e membro a vita del Consiglio di Stato. Fu particolarmente celebre per avere promulgato, come primo ministro, con la mia bisavola la principessa Isabella, all'epoca reggente dell'Impero, la legge di liberazione degli schiavi del 13 maggio 1888, nota come “legge aurea”. Proclamata la repubblica da un golpe militare nell'1889, João Alfredo presiedette per lunghi anni il Direttorio Monarchico, in qualità di persona di fiducia della Principessa, allora esiliata in Francia. Quest'uomo di Stato - uno dei più noti in Brasile - ebbe per fratello Leodegário Corrêa de Oliveira, nonno dell'autore del presente libro.
Dal lato materno, discende dalla famiglia dei Ribeiro dos Santos, appartenente alla tradizionale classe paulista detta di “quattrocento anni”, cioè proveniente dai fondatori o abitanti originari della città di San Paolo. Tra i suoi antenati materni si distinse, durante il regno dell'imperatore Pedro II, il prof. Gabriel Rodrigues dos Santos, cattedratico della già allora celebre Facoltà di Diritto di San Paolo, avvocato, oratore di grandi doti e deputato, prima provinciale e poi nazionale. In queste funzioni ben presto ottenne un meritato rilievo. La morte lo rapi prematuramente.
In entrambe le famiglie, le polemiche ideologiche che segnarono il periodo dell'Impero (1822-1889) e le prime decadi della Repubblica (1889-1930) ebbero un'eco profonda, producendo le ben note divisioni: nel campo religioso, alcuni si mantenevano fermamente fedeli alla Religione cattolica, mentre altri aderivano al Positivismo, l’ultimo grido della moda ideologica del tempo. Nel campo politico, alcuni restavano fedeli al caduto regime, mentre altri aderivano alla repubblica, nelle cui lotte politiche ebbero parte saliente.
Plinio Corrêa de Oliveira fu testimone nell'ambiente famigliare di questo scontro di opinioni che, alla maniera brasiliana, era abitualmente enfatico ma allo stesso tempo cordiale.
Su questi importanti argomenti egli andò prendendo posizione, improntata all'innocenza e alla pietà del suo animo ancora infantile ma già notevolmente precoce. Questa posizione venne rafforzata nel corso degli anni dalla riflessione, dall'analisi imparziale dei fatti e dallo studio al quale si affezionò da piccolo, con marcata preferenza per i temi storici.
Fu in questa linea di pensiero - allo stesso tempo come cattolico praticante e intrepido, e come monarchico dichiarato - che Plinio Corrêa de Oliveira diventò uno dei leader più in vista fra le file della gioventù studentesca del suo tempo.
Non è mia intenzione aggiungere qui dati biografici concernenti a questo noto brasiliano; essi figurano, col dovuto rilievo, in un'altra parte di questo volume. Intendo però analizzare il significato profondo della sua opera intellettuale, che può essere studiata nei libri e nei numerosi articoli che ha scritto.
Lungo il suo cammino, Plinio Corrêa de Oliveira incontrò sempre cattolici e monarchici: i primi crescevano in numero e fervore, fino al momento in cui il progressismo provocò fra loro inevitabili divisioni, polemiche clamorose e la conseguente dispersione e diminuzione di forze.
I monarchici, al contrario - la loro libertà di pensiero e di azione essendo stata tirannicamente soppressa dal decreto n° 85-A, del 23 dicembre 1889, confermato dalla art. 90 della prima Costituzione repubblicana del 1881 (la “clausola petrea”) e dalle diverse Costituzioni che seguirono durante la agitata vita del nuovo regime – andarono diminuendo di numero fino a quando, nel 1988, la 6ª Costituzione repubblicana soppresse la malfamata “clausola petrea”, riconoscendo finalmente ai monarchici una libertà politica che la Repubblica non negava a nessuno, neppure ai comunisti!
Da allora si è verificato un fenomeno ideologico e politico inatteso per molti brasiliani. Nei più diversi Stati, cioè, in tutte le classi sociali, sono sorti i monarchici che - riuniti in valorose associazioni, come il Consiglio Pro-Brasil Monarchico, i Circoli Monarchici, l'Azione Monarchica Femminile e la Gioventù Monarchica del Brasile, intimamente legati a me in qualità di legittimo successore di Pedro II - progrediscono chiaramente nell'azione pacifica ma tenace che conduco con l'aiuto brillante ed efficiente del Principe Bertrand, mio fratello ed eventuale successore.
Questi monarchici hanno gli occhi rivolti con ammirazione all'intrepido leader anticomunista Plinio Corrêa de Oliveira, il quale ha saputo essere, come intellettuale, un monarchico dichiarato, anche nel periodo in cui fu più dura quella che potremmo chiamare la recessione monarchica, e il cui pensiero fornisce alla polemica monarchica - tradizionalista per essenza - una preziosa fonte di pensiero.
Troviamo ammiratori ed amici della Monarchia in numero considerevole anche nella Società Brasiliana per la Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP), oggi la maggiore organizzazione anticomunista d'ispirazione cattolica, fondata da Plinio Corrêa de Oliveira, della quale mio fratello Bertrand ed io facciamo parte, fin dalla prima giovinezza, col dovuto entusiasmo.
Plinio Corrêa de Oliveira è un bersaglio preso continuamente di mira dai cattolici che si dichiarano di sinistra e dai più svariati avversari della tradizione: dai socialisti moderati fino ai comunisti radicali ed agli “ecologisti”, nel senso politico militante del termine, senza dimenticare certi centristi che in realtà non sono che seguaci camuffati del socialismo.
D'altra parte, egli è riconosciuto come indiscusso leader dai cattolici che, nel piano strettamente filosofico e culturale, prendono una posizione che, per analogia, viene considerata come destra cattolica.
Fino ad ora, l'opera capitale di Plinio Corrêa de Oliveira è Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Sono convinto che accanto a questa dovrebbe aggiungersi Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di  Pio XII al Patriziato ed alla nobiltà romana.
Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, pubblicato nel 1959, ha avuto successive edizioni in vari Paesi di Europa e delle Americhe, costituendo il libro di base di tutti i soci e cooperatori delle TFP in 20 nazioni dei cinque continenti.
Quest'opera è una analisi teologica, filosofica e sociologica della crisi dell'Occidente, dalla sua genesi nel secolo XIV fino ai nostri giorni. Il fulcro del pensiero di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione consiste nella valutazione secondo cui l'indebolimento religioso e la decadenza dei costumi caratterizzati da quel secolo diffusero in Europa una smodata sete di piaceri della vita, e quindi una gravissima crisi di carattere morale che penetrò a fondo coll'Umanesimo e il Rinascimento. Per sua natura, questa crisi operò molto più nelle tendenze che non nelle convinzioni dottrinali; tuttavia non avrebbe tardato ad invadere il campo intellettuale, data la fondamentale unità dell'uomo.
La crisi morale conduce prima o poi ad opporsi ad ogni legge e ad ogni freno. All'inizio, quest'opposizione può non essere che un'antipatia; tuttavia istiga la tendenza a sollevare obiezioni di carattere dottrinale - ora più radicali, ora meno - contro la mera esistenza di autorità alle quali spetta, per la natura stessa delle cose, di reprimere le varie forme del male. Ciò provoca, negli animi predisposti dalle cattive tendenze, un'opposizione anche dottrinale ad ogni legge e ad ogni freno. Il termine finale di questo processo è l'anarchia nei fatti e nelle dottrine.
Ecco descritto il liberalismo illuminista, la cui espressione ultima e più radicale è l'anarchismo. È appunto nell'anarchia che va sprofondando il mondo contemporaneo.
L'apparire del liberalismo, che definirei “anarcogenico”, porta con sé un'altra conseguenza: l'opposizione ad ogni disuguaglianza. Il liberalismo è ugualitario: chi rifiuta con indignata enfasi ogni autorità, si oppone parimenti ad ogni disuguaglianza. Infatti, ogni superiorità, qualunque sia il campo in cui si manifesta, comporta un tipo di potere o di influenza direttrice di chi è maggiore su chi è minore. Ecco l'ugualitarismo, la cui ultima conseguenza consiste nel rafforzare l'anarchismo.
Infine, la scomparsa di ogni distinzione tra verità ed errore, bene e male, crea l'illusione di rafforzare la pace fra gli uomini, mediante l'interdipendenza e il livellamento di tutte le religioni, tutte le filosofie, tutte le scuole di pensiero e di cultura. Tutto equivale a tutto: modo indiretto di affermare che tutto è nulla. Siamo al caos stabilito alle radici più profonde del pensiero umano, e quindi al disordine più completo nella vita umana.
Questo che potremmo qualificare come una genealogia di errori e di catastrofi  - “abyssus abyssum invocat” - non si manifesta solo nel campo speculativo, ma anche in quello dei fatti.
Rivoluzione e Contro-Rivoluzione mostra che questo processo libertario, ugualitario e “fraterno” - è infatti col pretesto della fraternità che si organizza oggi il festival mondiale dell'ecumenismo in tutti i campi e settori - ha avuto la sua prima esplosione nell'apocalittica rivoluzione protestante, che negò l'autorità suprema e universale dei Papi; in varie sue sette, essa negò anche l'autorità dei vescovi, e in altre ancor più radicali quella dei sacerdoti; e proclamò il principio perfettamente anarchico del libero esame.
Passando dalla sfera religiosa a quella politica, si vede che questo pensiero sta alla radice stessa della Rivoluzione francese, che mirò a modellare lo Stato e la società secondo i principi di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, inerenti al protestantesimo. Essa negò il Re, come il protestantesimo aveva negato il Papa; negò la nobiltà, come certe sette protestanti avevano fortemente diminuito i poteri del clero (che è l'aristocrazia della Chiesa) e altre lo avevano eliminato completamente; e proclamò, in nome del libero pensiero, il principio della sovranità popolare, come il protestantesimo aveva proclamato quello del libero esame.
I rivoluzionari del 1789 lasciarono in piedi la proprietà privata e la conseguente autorità del proprietario sul lavoratore e, per analogia, dell'intellettuale sul lavoratore manuale. Ciò nonostante, nelle sue ultime convulsioni, per la penna del comunista Babeuf, la Rivoluzione francese giunse a negare anche queste ultime residue disuguaglianze.
A sua volta, nel 1848, Marx proclamò l'uguaglianza socio-economica completa e Lenin la realizzò in Russia a partire dal 1917.
Tre rivoluzioni, tre ecatombi, l'una generata dall'altra, hanno provocato come risultato, in questa fine di millennio, la 4ª Rivoluzione, autogestionaria e tribale, come afferma Plinio Corrêa de Oliveira nelle più recenti edizioni di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione.
Nel 1960, per l'edizione francese di questo libro, il mio defunto padre, il Principe Pedro Henrique, scrisse una sostanziosa e bella prefazione, proprio nel senso che ho espresso e che fa vedere il taglio intellettuale dell'opera di Plinio Corrêa de Oliveira.
Rivoluzione e Contro-Rivoluzione fu evidentemente scritto per mettere in guardia la borghesia dell'Occidente, la cui vigilanza si era addormentata nei piaceri e negli affari, dal rischio supremo verso cui si dirigeva. Non era solo un libro speculativo, ma anche una denuncia, fatta con la speranza che ne derivasse un movimento, e da questo una riscossa. La fondazione della TFP in Brasile, il suo diffondersi nel vasto territorio del mio Paese e la propagazione dei suoi ideali nei cinque continenti, sono il frutto dell'apostolato personale e concreto di questo pensatore che, nel campo dell'azione, agiva e agisce nel cuore della realtà contemporanea.
Ora, Nobiltà e élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, presenta appunto questo carattere di opera di pensiero destinata ad influenzare profondamente i fatti.


Simile a roccia sulla punta di un promontorio sferzato dalle onde, la nobiltà, a partire dalla Rivoluzione francese, ha sofferto successivi attacchi. Le hanno tolto quasi dappertutto il potere politico. In generale le negano qualsiasi diritto specifico, che non sia il mero uso dei titoli e dei nomi tradizionali. Il movimento generale dell'economia e della finanza ha fatto concentrare in altre mani la torrenziale ricchezza che ha posto il capitalismo al vertice della società e con la quale il jet set cerca di abbagliare - anzi di far brillare i suoi lustrini - da ogni parte.
Che rimane allora della nobiltà? Ridotta in questo modo, ha il diritto di esistere? Con che vantaggio per se stessa e per il bene comune? Deve forse isolarsi irriducibilmente nell'ambito delle “buone famiglie”? Oppure, nel caso di sopravvivenza della nobiltà, questa va estesa anche alle nuove élites con analoghe, seppure non identiche, caratteristiche?
Plinio Corrêa de Oliveira, il cui animo è caratterizzato da una coerenza esemplare, vede nella nobiltà una di queste roccie immobili senza la cui resistenza epica, a volte perfino tragica, alla mareggiate delle tre Rivoluzioni, le terre del promontorio – ossia le civiltà e culture - avrebbero perso la loro coesione e si sarebbero dissolte nel turbine delle onde.
Non è raro incontrare membri della nobiltà coscienti dei doveri individuali imposti dalla loro condizione nobiliare - come il buon esempio alle altre classi, col comportamento morale irreprensibile o con l'assistenza ai bisognosi - ma che, sulle questioni sopra elencate, non hanno che nozioni vaghe, seppure ce l'hanno.
D'altronde un fatto analogo accade nelle altre classi, soprattutto con la più favorita nella struttura sociale vigente, ossia la borghesia. Il diritto di proprietà è il suo più fermo punto di appoggio, eppure sono rari i borghesi che conoscono i fondamenti morali e religiosi della proprietà privata, dei diritti e dei doveri che comporta.
Ad entrambe queste classi, l'opera di Plinio Corrêa de Oliveira fornisce un inestimabile sostegno, pubblicando il testo integrale delle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, corredate da commenti esplicativi ed esempi storici molto eloquenti.
Plinio Corrêa de Oliveira, profondamente impregnato dei principi insegnati dai Pontefici, è totalmente opposto allo spirito della lotta di classe.
Egli non vede nella linea di confine tra nobiltà e popolo una zona di conflitto. Al contrario, ci mostra la nobiltà storica, militare e terriera, come alto e puro vertice dell'organizzazione sociale, vertice tuttavia non inaccessibile: culmine abitualmente difficile da scalare, poiché è nella natura delle cose che questa ascensione si realizzi solo col merito.
Per Plinio Corrêa de Oliveira, la prospettiva di un'ardua ascesa del borghese alla condizione nobiliare va vista come un amichevole invito ad acquistare meriti ed ottenere con essi una autentica glorificazione. C'è di più. Nella nostra epoca, in cui una profonda penetrazione della tecnica nel lavoro manuale e un livello non trascurabile di istruzione nella classe operaia rende quest'ultima assai variegata, vi sono molte meritori e possibilità di promozione sociale e professionale, che sarebbe ingiusto ignorare.
Amico della armoniosa e equilibrata gerarchia in tutti i campi dell'umano agire, Plinio Corrêa de Oliveira applica, mediante una lucida interpretazione, i principi di Pio XII a tutte le classi sociali, senza fonderle e meno ancora confonderle.
È però facile accorgersi che le sue particolari premure si rivolgono specialmente ai due estremi della gerarchia sociale; di qui i suoi brillanti commenti sull'opzione preferenziale per i nobili e sull'opzione preferenziale per i poveri.
Per quanto mi riguarda, condivido di cuore questa duplice opzione, facilmente individuabile nello spirito e nell'opera di vari monarchi della Casa di Braganza, in Portogallo come in Brasile. In questo libro - basato sulle allocuzioni pontificie qui riprodotte e commentate - l'attenzione dell'autore si rivolge specialmente all'opzione preferenziale per i nobili, senza pregiudizio alcuno per l'opzione preferenziale per i poveri.
È missione specifica della nobiltà agire in difesa dei Re, sia che godano dell'esercizio del potere, nella pienezza delle rispettive prerogative, sia che abbiano solo “de jure” quel potere che è loro venuto dagli antenati e che nessun atto di forza o di demagogia può legittimamente sopprimere.
Reciprocamente, è dovere dei sovrani amare, rispettare e sostenere la nobiltà, esercitando così in suo favore un'effettiva opzione preferenziale, che non si limiti alle sole lusinghe e cortesie.
Auguro a questo nuovo libro di Plinio Corrêa de Oliveira il plauso di quanti sanno e sentono quello che è una vera nobiltà, che aiuti il popolo ad essere sempre quello che Pio XII raccomanda, ossia un vero popolo animato da un'animo degno di essere chiamato cristiano, e che non capitoli di fronte al rischio di diventare una massa anorganica e inerte, trascinata nelle più svariate direzioni dalla psico-dittatura dei grandi gruppi pubblicitari.
Sao Paulo, 25 de março de 1993
Luiz de Orléans e Braganza