Prefazione di S.A.I.R.
il Principe Luiz de
Orléans e Braganza
Capo della Casa
Imperiale del Brasile
Per comprendere
pienamente quest'opera di Plinio Corrêa de Oliveira è necessario tenere
presente le principali sfaccettature della sua vita pubblica: scrittore,
uomo d'azione, ma soprattutto pensatore.
Un pensatore
dedicato meno alla mera speculazione dottrinale che all'analisi del secolo
in cui vive, dei problemi che lo tormentano e, secondo le soluzioni date a
questi problemi, delle vie sulle quali viene condotta la storia umana.
Secolo questo che si
presenta ribollente e tumultuoso, in gran parte contraddittorio e bizzarro.
Il suo inizio fu infatti caratterizzato da gioie e piaceri della Belle
Epoque e anche dalla magnificenza dell'Esposizione Universale di Parigi.
Eppure esso si avvia verso la fine in mezzo a incertezze e preoccupazioni,
nella previsione di avvenimenti che condurranno forse a un caos universale
o perfino ad una ecatombe atomica.
Possiamo, dunque,
considerare nel nostro secolo, da questo punto di vista, due fasi ben
distinte.
La prima è
apertamente ottimista. In essa gli uomini, remoti eredi del Secolo dei
Lumi, credevano nel successo indefinito di tutti i loro sforzi per il
progresso. Il movimento generale dei popoli, delle istituzioni e dei
costumi, veniva spinto, abitualmente, da alcune convinzioni che erano
patrimonio del senso comune, ma che erano state considerate in maniera
ipertrofica ed esclusivista dalla precedente epoca dell'illuminismo. Fra
queste convinzioni, c'era quella secondo cui l'umana ragione – essendo
infallibile se nettamente usata - era guida autosufficiente per
individuare la felicità terrena e i mezzi per ottenerla.
Inoltre,
l'intelletto umano aveva già accumulato un'imponente congerie di
conoscenze, nei campi più svariati, adatta ad assicurare nel secolo
ventesimo, e anche nei secoli successivi, un alto grado di giustizia, di
benessere, di multiforme miglioramento delle condizioni di vita e,
conseguentemente, una felicità terrena perfetta.
Questo processo
ascendente era chiamato progresso, e il complesso dei metodi di azione con
i quali si realizzava la gloriosa e indefinita ascensione del progresso
veniva chiamata tecnica.
Grazie a questo
processo, l'umanità si trovava a un apice di civiltà mai visto prima, nel
quale erano assenti i sintomi di ignoranza, rudezza e crudeltà,
caratteristici dei tempi antichi.
Quale potentissimo
sostegno del progresso, l'uomo doveva contare sull'evoluzione: forza
immanente a tutti gli esseri, ancora misteriosa, e che provocava una
continua ascensione, il cui vertice supremo era impossibile raggiungere.
Esempio
caratteristico delle ambiziose speranze suscitate dalla cooperazione di
questi fattori fu la decisione, espressa in diverse disposizioni
testamentarie di questo secolo, secondo la quale il testatore disponeva
che il suo cadavere fosse conservato intatto, in speciali camere
frigorifere, nella speranza che l'evoluzione e il progresso, con la loro
azione congiunta, facessero scoprire i mezzi per realizzare la
resurrezione dei morti...
È certo che, in quel
mezzo secolo di giubilo universale, due tragedie di grande portata
avrebbero opposto una crudele smentita a tante allucinate speranze: le
guerre mondiali.
Tuttavia, dopo la
conflagrazione mondiale del 1914-1918 cominciò l'allegro periodo
generalmente denominato “entre deux guerres”, che sarebbe stato interrotto
dalla nuova guerra mondiale nel 1939. Sebbene quest'ultima, finita di
fatto con le esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki, fosse stata
ancora più universale, mortifera, devastatrice e lunga che la prima, la
forza di propulsione verso la felicità terrena assoluta era talmente
grande che, appena terminata, l'atmosfera festosa di ostinato ottimismo
avrebbe subito ripreso la sua marcia.
Ecco come la
Costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II ha descritto
le condizioni di vita nelle quali le sembrava che fosse immersa la società
contemporanea, aprendole le braccia allo scopo di godere insieme questa
gioia universale:
“Le condizioni di
vita dell'uomo moderno, sotto l'aspetto sociale e culturale, sono
profondamente cambiate, così che è lecito parlare di una nuova epoca della
storia umana. Da qui si aprono nuove vie per perfezionare e più largamente
diffondere la cultura. (...) Le scienze dette esatte affinano grandemente
il senso critico; i più recenti studi di psicologia spiegano con maggiore
profondità l'attività umana; le scienze storiche giovano assai a far
considerare le cose sotto l'aspetto della loro mutabilità ed evoluzione; i
modi di vita e i costumi diventano sempre più uniformi;
l'industrializzazione, l'urbanesimo e le altre cause che favoriscono la
vita comunitaria creano nuove forme di cultura (cultura di massa), da cui
nascono nuovi modi di pensare, di agire, d'impiegare il tempo libero; lo
sviluppo dei rapporti fra le varie nazioni e le classi sociali aprono più
ampiamente a tutti ed a ciascuno i tesori delle diverse forme di cultura,
e così a poco a poco si prepara una forma più universale di cultura umana,
che tanto più promuove ed esprime l'unità del genere umano, quanto meglio
rispettale particolarità delle diverse culture (...).
“I teologi sono
inoltre invitati, nel rispetto dei metodi e delle esigenze proprie della
scienza teologica, a ricercare modi sempre più adatti per comunicare la
dottrina cristiana agli uomini della loro epoca (...).
“Nella cura
pastorale siano sufficientemente conosciuti e usati non soltanto principi
della teologia, ma anche le scoperte delle scienze profane, in primo luogo
della psicologia e della sociologia (...).
“I fedeli dunque
(...) sappiano armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle nuove
dottrine e delle più recenti scoperte, con la morale e il pensiero
cristiano, affinché la pratica della religione e l'onestà procedano in
essi di pari passo con la conoscenza e col continuo progresso della
tecnica” (Gaudium et Spes, n. 54 e 62).
Questo era il modo
in cui la grande maggioranza degli uomini - formati spiritualmente e
culturalmente dalla civiltà occidentale - vedeva il futuro. Condividevano
questa visione intellettuali di rinomanza universale, statisti e uomini di
azione di grande spicco.
Ma... in quale
situazione storica non serpeggia un “ma”? A poco a poco anche il
“paradiso” del progresso cominciava a scontentare.
Parallelamente
all'unanimismo ottimista, un altro modo di vedere, di sentire e di agire
veniva formandosi nella penombra e nel silenzio. Tuttavia, mentre per
quest'ottimismo erano aperte pienamente le porte dell'apparato
pubblicitario, all'altro i mass media non concedevano volentieri spazio,
per cui esso era ridotto a sopravvivere negli angolini della società di
allora, nei quali il liberalismo dominante non trovava pretesto per
perseguitarlo.
Questo piccolo mondo
- mantenuto così nell'oscurità - costituito da un pubblico eterogeneo e
attivo, era formato dagli elementi più diversi.
Bisogna menzionare,
innanzitutto, coloro che contestavano il valore della ragione umana,
mettendo in questione l'intero edificio grandioso, ma pregno di
frustrazioni, della civiltà occidentale.
Nel loro pensiero
non era difficile discernere l'influenza dei filosofi tedeschi, anteriori
perfino alla Rivoluzione francese: di Kant, per esempio, secondo il quale
il concetto formato dalla ragione non sarebbe fedele, ma influenzato da
fattori soggettivi che ne falserebbero l'oggettività. Dalla critica della
ragione e della conoscenza, egli scivolò nel soggettivismo e in un certo
qual immanentismo. Nei suoi seguaci - Fichte, Schelling, Hegel e altri -
questo immanentismo si smembrò in teorie panteiste.
Era l'antico
panteismo, di origine induista e buddista, da molto diffuso in grandi
estensioni dell'Asia e che appariva ora nella storia dell'Occidente.
Questo soggettivismo
e questo panteismo prese carattere di pessimismo in Schopenhauer e di
disperazione in Nietzsche. L'apologia dell'angoscia fatta dai padri
dell'esistenzialismo moderno (Kierkegaard, Heidegger) non sembra slegata
da tali tendenze generali.
Questo pensiero andò
prendendo terreno in circoscritte ma elevate sfere intellettuali europee
durante i secoli XIX e XX.
Contemporaneamente
l’ “american way of life” diffuso dappertutto da Hollywood e
considerato da innumerevoli contemporanei come lo stile di vita più
coerente, col trionfo congiunto della ragione, del progresso e della
evoluzione - cominciava a venir messo in questione a causa degli
inconvenienti dello stesso sistema capitalistico.
Effettivamente,
l'entusiasmo per la velocità nelle comunicazioni e nei trasporti, per
l'intrecciarsi di tutti i campi dell'attività umana, provocò in ogni parte
del mondo una febbre generale. Un febbricitare di mentalità, di
aspirazioni, di sensazioni, di ambizioni, di attività, di business... di
deliri, che finì col produrre molti e vari disturbi fisici e mentali che
vanno aggravandosi di giorno in giorno e presagiscono la crisi generale
dello Stato, della società, della cultura e della famiglia. Non è
necessario dissertare a lungo, poiché è evidente che ciò sfocerà in una
crisi globale molto più terribile: la crisi dell'uomo.
Un'altra classe di
scontenti - peraltro ben diversa - era formata da coloro che pur
contemporanei alla festosa approvazione della Costituzione conciliare Gaudium et Spes, testimoniavano il nascere e il diffondersi della
gigantesca crisi che cominciava a manifestarsi in tutta la Chiesa dopo la
chiusura del Concilio Vaticano II.
Una crisi che si
presenta oggi ben più grave per la nascita della Teologia della
Liberazione, per il serpeggiare di un certo ecologismo e di un certo
sub-consumismo pauperista e pseudo-evangelico, che vede nelle condizioni
di vita tribali l'organizzazione della società umana!
La situazione che si
presenta oggi davanti a noi non era stata prevista dal candido ottimismo
dei Padri Conciliari del 1965.
Questo candido
ottimismo mi suscita un sorriso melanconico e rispettoso, che sorprenderà
certi cattolici che non comprendono la filiale fedeltà alla Santa Chiesa e
al Papato che mi vibra nell'anima nel momento stesso in cui scrivo queste
righe.
Questo rispetto mi
porta ad accettare con tutto il cuore che il Divino Fondatore della Chiesa
l'ha voluta retta da un Papa infallibile, in tutti i campi e nelle
condizioni in cui Egli lo ha voluto infallibile; e fallibile in tutti i
campi e nelle condizioni in cui l'ha voluto fallibile, ossia per esempio
nella valutazione delle circostanze concrete in cui vengano a trovarsi
questi o quegli uomini, queste o quelle situazioni.
* * *
Lo scontento che, ai
margini del festoso trionfalismo del dopoguerra e del post-Concilio, si
sviluppava in oscurità sempre più tenui e in una dimensione sempre meno
corpuscolare, esplose d'improvviso nel 1968. È accaduto nella rivolta
della Sorbona, le cui conseguenze aprirono per il mondo orizzonti di
follia, di corruzione morale e di caos fino allora insospettati dalla
grande massa.
A poco servì che una
gigantesca protesta anti-sessantottina sfilasse sulle strade di Parigi,
nella famosa marcia di un milione di persone, mosse dall'entusiasmo
vigoroso e sereno dell'età matura, o che contro la ribellione si levassero
da tutte le parti voci di protesta, molte delle quali risonanti del
meritato prestigio di varie personalità.
Dal '68 ad oggi sono
avvenuti, in molteplici sfere del pensiero e dell'azione umani, sensibili
mutamenti. Quasi sempre, questi fecero in modo di trasformare il mondo di
oggi in modo molto più consono alle mete della rivoluzione del Maggio
francese.
Il caos va
diffondendosi dovunque. Dimostrarlo, sarebbe in questa sede superfluo e
impossibile: superfluo, perché al giorno d'oggi non percepisce tale caos
colui che è stato da esso accecato e ha perso di conseguenza la vista;
impossibile, perché il caos è così universale che sarebbe impraticabile
trattare, nella semplice prefazione di un libro, tutto ciò che esso fa o
in cui opera. D'altronde, si vi dedicassi questa prefazione, essa
diventerebbe più voluminosa dello studio che intende presentare ai lettori.
Quanto finora
esposto non ha avuto che lo scopo di delineare, il più sinteticamente
possibile, il quadro generale dell'epoca in cui Plinio Corrêa de Oliveira
ha svolto la sua azione di pensatore, di maestro e di leader cattolico
conservatore di fama universale.
Egli proviene da due
illustri famiglie brasiliane. Dal lato paterno, dalla nobile famiglia dei
Corrêa de Oliveira, di proprietari di piantagioni di canna da zucchero nel
Pernambuco. Fra i suoi membri che ebbero un ruolo rilevante nella vita
pubblica merita una menzione particolare João Alfredo Corrêa de Oliveira,
senatore a vita dell'Impero e membro a vita del Consiglio di Stato. Fu
particolarmente celebre per avere promulgato, come primo ministro, con la
mia bisavola la principessa Isabella, all'epoca reggente dell'Impero, la
legge di liberazione degli schiavi del 13 maggio 1888, nota come “legge
aurea”. Proclamata la repubblica da un golpe militare nell'1889, João
Alfredo presiedette per lunghi anni il Direttorio Monarchico, in qualità
di persona di fiducia della Principessa, allora esiliata in Francia.
Quest'uomo di Stato - uno dei più noti in Brasile - ebbe per fratello
Leodegário Corrêa de Oliveira, nonno dell'autore del presente libro.
Dal lato materno,
discende dalla famiglia dei Ribeiro dos Santos, appartenente alla
tradizionale classe paulista detta di “quattrocento anni”, cioè
proveniente dai fondatori o abitanti originari della città di San Paolo.
Tra i suoi antenati materni si distinse, durante il regno dell'imperatore
Pedro II, il prof. Gabriel Rodrigues dos Santos, cattedratico della già
allora celebre Facoltà di Diritto di San Paolo, avvocato, oratore di
grandi doti e deputato, prima provinciale e poi nazionale. In queste
funzioni ben presto ottenne un meritato rilievo. La morte lo rapi
prematuramente.
In entrambe le
famiglie, le polemiche ideologiche che segnarono il periodo dell'Impero
(1822-1889) e le prime decadi della Repubblica (1889-1930) ebbero un'eco
profonda, producendo le ben note divisioni: nel campo religioso, alcuni si
mantenevano fermamente fedeli alla Religione cattolica, mentre altri
aderivano al Positivismo, l’ultimo grido della moda ideologica del tempo.
Nel campo politico, alcuni restavano fedeli al caduto regime, mentre altri
aderivano alla repubblica, nelle cui lotte politiche ebbero parte
saliente.
Plinio Corrêa de
Oliveira fu testimone nell'ambiente famigliare di questo scontro di
opinioni che, alla maniera brasiliana, era abitualmente enfatico ma allo
stesso tempo cordiale.
Su questi importanti
argomenti egli andò prendendo posizione, improntata all'innocenza e alla
pietà del suo animo ancora infantile ma già notevolmente precoce. Questa
posizione venne rafforzata nel corso degli anni dalla riflessione,
dall'analisi imparziale dei fatti e dallo studio al quale si affezionò da
piccolo, con marcata preferenza per i temi storici.
Fu in questa linea
di pensiero - allo stesso tempo come cattolico praticante e intrepido, e
come monarchico dichiarato - che Plinio Corrêa de Oliveira diventò uno dei
leader più in vista fra le file della gioventù studentesca del suo tempo.
Non è mia intenzione
aggiungere qui dati biografici concernenti a questo noto brasiliano; essi
figurano, col dovuto rilievo, in un'altra parte di questo volume. Intendo
però analizzare il significato profondo della sua opera intellettuale, che
può essere studiata nei libri e nei numerosi articoli che ha scritto.
Lungo il suo cammino,
Plinio Corrêa de Oliveira incontrò sempre cattolici e monarchici: i primi
crescevano in numero e fervore, fino al momento in cui il progressismo
provocò fra loro inevitabili divisioni, polemiche clamorose e la
conseguente dispersione e diminuzione di forze.
I monarchici, al
contrario - la loro libertà di pensiero e di azione essendo stata
tirannicamente soppressa dal decreto n° 85-A, del 23 dicembre 1889,
confermato dalla art. 90 della prima Costituzione repubblicana del 1881 (la
“clausola petrea”) e dalle diverse Costituzioni che seguirono durante la
agitata vita del nuovo regime – andarono diminuendo di numero fino a
quando, nel 1988, la 6ª Costituzione repubblicana soppresse la malfamata
“clausola petrea”, riconoscendo finalmente ai monarchici una libertà
politica che la Repubblica non negava a nessuno, neppure ai comunisti!
Da allora si è
verificato un fenomeno ideologico e politico inatteso per molti brasiliani.
Nei più diversi Stati, cioè, in tutte le classi sociali, sono sorti i
monarchici che - riuniti in valorose associazioni, come il Consiglio
Pro-Brasil Monarchico, i Circoli Monarchici, l'Azione Monarchica Femminile
e la Gioventù Monarchica del Brasile, intimamente legati a me in qualità
di legittimo successore di Pedro II - progrediscono chiaramente
nell'azione pacifica ma tenace che conduco con l'aiuto brillante ed
efficiente del Principe Bertrand, mio fratello ed eventuale successore.
Questi monarchici
hanno gli occhi rivolti con ammirazione all'intrepido leader anticomunista
Plinio Corrêa de Oliveira, il quale ha saputo essere, come intellettuale,
un monarchico dichiarato, anche nel periodo in cui fu più dura quella che
potremmo chiamare la recessione monarchica, e il cui pensiero fornisce
alla polemica monarchica - tradizionalista per essenza - una preziosa
fonte di pensiero.
Troviamo ammiratori
ed amici della Monarchia in numero considerevole anche nella Società
Brasiliana per la Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP),
oggi la maggiore organizzazione anticomunista d'ispirazione cattolica,
fondata da Plinio Corrêa de Oliveira, della quale mio fratello Bertrand ed
io facciamo parte, fin dalla prima giovinezza, col dovuto entusiasmo.
Plinio Corrêa de
Oliveira è un bersaglio preso continuamente di mira dai cattolici che si
dichiarano di sinistra e dai più svariati avversari della tradizione: dai
socialisti moderati fino ai comunisti radicali ed agli “ecologisti”, nel
senso politico militante del termine, senza dimenticare certi centristi
che in realtà non sono che seguaci camuffati del socialismo.
D'altra parte, egli
è riconosciuto come indiscusso leader dai cattolici che, nel piano
strettamente filosofico e culturale, prendono una posizione che, per
analogia, viene considerata come destra cattolica.
Fino ad ora, l'opera
capitale di Plinio Corrêa de Oliveira è Rivoluzione e
Contro-Rivoluzione. Sono convinto che accanto a questa dovrebbe
aggiungersi Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle
allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla nobiltà romana.
Rivoluzione e
Contro-Rivoluzione, pubblicato nel 1959, ha avuto successive edizioni in
vari Paesi di Europa e delle Americhe, costituendo il libro di base di
tutti i soci e cooperatori delle TFP in 20 nazioni dei cinque continenti.
Quest'opera è una
analisi teologica, filosofica e sociologica della crisi dell'Occidente,
dalla sua genesi nel secolo XIV fino ai nostri giorni. Il fulcro del
pensiero di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione consiste nella valutazione
secondo cui l'indebolimento religioso e la decadenza dei costumi
caratterizzati da quel secolo diffusero in Europa una smodata sete di
piaceri della vita, e quindi una gravissima crisi di carattere morale che
penetrò a fondo coll'Umanesimo e il Rinascimento. Per sua natura, questa
crisi operò molto più nelle tendenze che non nelle convinzioni dottrinali;
tuttavia non avrebbe tardato ad invadere il campo intellettuale, data la
fondamentale unità dell'uomo.
La crisi morale
conduce prima o poi ad opporsi ad ogni legge e ad ogni freno. All'inizio,
quest'opposizione può non essere che un'antipatia; tuttavia istiga la
tendenza a sollevare obiezioni di carattere dottrinale - ora più radicali,
ora meno - contro la mera esistenza di autorità alle quali spetta, per la
natura stessa delle cose, di reprimere le varie forme del male. Ciò
provoca, negli animi predisposti dalle cattive tendenze, un'opposizione
anche dottrinale ad ogni legge e ad ogni freno. Il termine finale di
questo processo è l'anarchia nei fatti e nelle dottrine.
Ecco descritto il
liberalismo illuminista, la cui espressione ultima e più radicale è
l'anarchismo. È appunto nell'anarchia che va sprofondando il mondo
contemporaneo.
L'apparire del
liberalismo, che definirei “anarcogenico”, porta con sé un'altra
conseguenza: l'opposizione ad ogni disuguaglianza. Il liberalismo è
ugualitario: chi rifiuta con indignata enfasi ogni autorità, si oppone
parimenti ad ogni disuguaglianza. Infatti, ogni superiorità, qualunque sia
il campo in cui si manifesta, comporta un tipo di potere o di influenza
direttrice di chi è maggiore su chi è minore. Ecco l'ugualitarismo, la cui
ultima conseguenza consiste nel rafforzare l'anarchismo.
Infine, la scomparsa
di ogni distinzione tra verità ed errore, bene e male, crea l'illusione di
rafforzare la pace fra gli uomini, mediante l'interdipendenza e il
livellamento di tutte le religioni, tutte le filosofie, tutte le scuole di
pensiero e di cultura. Tutto equivale a tutto: modo indiretto di affermare
che tutto è nulla. Siamo al caos stabilito alle radici più profonde del
pensiero umano, e quindi al disordine più completo nella vita umana.
Questo che potremmo
qualificare come una genealogia di errori e di catastrofi - “abyssus
abyssum invocat” - non si manifesta solo nel campo speculativo, ma anche
in quello dei fatti.
Rivoluzione e
Contro-Rivoluzione
mostra che questo processo libertario, ugualitario e “fraterno” - è
infatti col pretesto della fraternità che si organizza oggi il festival
mondiale dell'ecumenismo in tutti i campi e settori - ha avuto la sua
prima esplosione nell'apocalittica rivoluzione protestante, che negò
l'autorità suprema e universale dei Papi; in varie sue sette, essa negò
anche l'autorità dei vescovi, e in altre ancor più radicali quella dei
sacerdoti; e proclamò il principio perfettamente anarchico del libero
esame.
Passando dalla sfera
religiosa a quella politica, si vede che questo pensiero sta alla radice
stessa della Rivoluzione francese, che mirò a modellare lo Stato e la
società secondo i principi di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, inerenti
al protestantesimo. Essa negò il Re, come il protestantesimo aveva negato
il Papa; negò la nobiltà, come certe sette protestanti avevano fortemente
diminuito i poteri del clero (che è l'aristocrazia della Chiesa) e altre
lo avevano eliminato completamente; e proclamò, in nome del libero
pensiero, il principio della sovranità popolare, come il protestantesimo
aveva proclamato quello del libero esame.
I rivoluzionari del
1789 lasciarono in piedi la proprietà privata e la conseguente autorità
del proprietario sul lavoratore e, per analogia, dell'intellettuale sul
lavoratore manuale. Ciò nonostante, nelle sue ultime convulsioni, per la
penna del comunista Babeuf, la Rivoluzione francese giunse a negare anche
queste ultime residue disuguaglianze.
A sua volta, nel
1848, Marx proclamò l'uguaglianza socio-economica completa e Lenin la
realizzò in Russia a partire dal 1917.
Tre rivoluzioni, tre
ecatombi, l'una generata dall'altra, hanno provocato come risultato, in
questa fine di millennio, la 4ª Rivoluzione, autogestionaria e tribale,
come afferma Plinio Corrêa de Oliveira nelle più recenti edizioni di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione.
Nel 1960, per
l'edizione francese di questo libro, il mio defunto padre, il Principe
Pedro Henrique, scrisse una sostanziosa e bella
prefazione, proprio nel
senso che ho espresso e che fa vedere il taglio intellettuale dell'opera
di Plinio Corrêa de Oliveira.
Rivoluzione e
Contro-Rivoluzione
fu evidentemente scritto per mettere in guardia la borghesia
dell'Occidente, la cui vigilanza si era addormentata nei piaceri e negli
affari, dal rischio supremo verso cui si dirigeva. Non era solo un libro
speculativo, ma anche una denuncia, fatta con la speranza che ne derivasse
un movimento, e da questo una riscossa. La fondazione della TFP in Brasile,
il suo diffondersi nel vasto territorio del mio Paese e la propagazione
dei suoi ideali nei cinque continenti, sono il frutto dell'apostolato
personale e concreto di questo pensatore che, nel campo dell'azione, agiva
e agisce nel cuore della realtà contemporanea.
Ora, Nobiltà e
élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed
alla Nobiltà romana, presenta appunto questo carattere di opera di
pensiero destinata ad influenzare profondamente i fatti.
Simile a roccia
sulla punta di un promontorio sferzato dalle onde, la nobiltà, a partire
dalla Rivoluzione francese, ha sofferto successivi attacchi. Le hanno
tolto quasi dappertutto il potere politico. In generale le negano
qualsiasi diritto specifico, che non sia il mero uso dei titoli e dei nomi
tradizionali. Il movimento generale dell'economia e della finanza ha fatto
concentrare in altre mani la torrenziale ricchezza che ha posto il
capitalismo al vertice della società e con la quale il jet set cerca di
abbagliare - anzi di far brillare i suoi lustrini - da ogni parte.
Che rimane allora
della nobiltà? Ridotta in questo modo, ha il diritto di esistere? Con che
vantaggio per se stessa e per il bene comune? Deve forse isolarsi
irriducibilmente nell'ambito delle “buone famiglie”? Oppure, nel caso di
sopravvivenza della nobiltà, questa va estesa anche alle nuove élites con
analoghe, seppure non identiche, caratteristiche?
Plinio Corrêa de
Oliveira, il cui animo è caratterizzato da una coerenza esemplare, vede
nella nobiltà una di queste roccie immobili senza la cui resistenza epica,
a volte perfino tragica, alla mareggiate delle tre Rivoluzioni, le terre
del promontorio – ossia le civiltà e culture - avrebbero perso la loro
coesione e si sarebbero dissolte nel turbine delle onde.
Non è raro
incontrare membri della nobiltà coscienti dei doveri individuali imposti
dalla loro condizione nobiliare - come il buon esempio alle altre classi,
col comportamento morale irreprensibile o con l'assistenza ai bisognosi -
ma che, sulle questioni sopra elencate, non hanno che nozioni vaghe,
seppure ce l'hanno.
D'altronde un fatto
analogo accade nelle altre classi, soprattutto con la più favorita nella
struttura sociale vigente, ossia la borghesia. Il diritto di proprietà è
il suo più fermo punto di appoggio, eppure sono rari i borghesi che
conoscono i fondamenti morali e religiosi della proprietà privata, dei
diritti e dei doveri che comporta.
Ad entrambe queste
classi, l'opera di Plinio Corrêa de Oliveira fornisce un inestimabile
sostegno, pubblicando il testo integrale delle allocuzioni di Pio XII al
Patriziato ed alla Nobiltà romana, corredate da commenti esplicativi ed
esempi storici molto eloquenti.
Plinio Corrêa de
Oliveira, profondamente impregnato dei principi insegnati dai Pontefici, è
totalmente opposto allo spirito della lotta di classe.
Egli non vede nella
linea di confine tra nobiltà e popolo una zona di conflitto. Al contrario,
ci mostra la nobiltà storica, militare e terriera, come alto e puro
vertice dell'organizzazione sociale, vertice tuttavia non inaccessibile:
culmine abitualmente difficile da scalare, poiché è nella natura delle
cose che questa ascensione si realizzi solo col merito.
Per Plinio Corrêa de
Oliveira, la prospettiva di un'ardua ascesa del borghese alla condizione
nobiliare va vista come un amichevole invito ad acquistare meriti ed
ottenere con essi una autentica glorificazione. C'è di più. Nella nostra
epoca, in cui una profonda penetrazione della tecnica nel lavoro manuale e
un livello non trascurabile di istruzione nella classe operaia rende
quest'ultima assai variegata, vi sono molte meritori e possibilità di
promozione sociale e professionale, che sarebbe ingiusto ignorare.
Amico della
armoniosa e equilibrata gerarchia in tutti i campi dell'umano agire,
Plinio Corrêa de Oliveira applica, mediante una lucida interpretazione, i
principi di Pio XII a tutte le classi sociali, senza fonderle e meno
ancora confonderle.
È però facile
accorgersi che le sue particolari premure si rivolgono specialmente ai due
estremi della gerarchia sociale; di qui i suoi brillanti commenti
sull'opzione preferenziale per i nobili e sull'opzione preferenziale per i
poveri.
Per quanto mi
riguarda, condivido di cuore questa duplice opzione, facilmente
individuabile nello spirito e nell'opera di vari monarchi della Casa di
Braganza, in Portogallo come in Brasile. In questo libro - basato sulle
allocuzioni pontificie qui riprodotte e commentate - l'attenzione
dell'autore si rivolge specialmente all'opzione preferenziale per i nobili,
senza pregiudizio alcuno per l'opzione preferenziale per i poveri.
È missione specifica
della nobiltà agire in difesa dei Re, sia che godano dell'esercizio del
potere, nella pienezza delle rispettive prerogative, sia che abbiano solo
“de jure” quel potere che è loro venuto dagli antenati e che nessun atto
di forza o di demagogia può legittimamente sopprimere.
Reciprocamente, è
dovere dei sovrani amare, rispettare e sostenere la nobiltà, esercitando
così in suo favore un'effettiva opzione preferenziale, che non si limiti
alle sole lusinghe e cortesie.
Auguro a questo
nuovo libro di Plinio Corrêa de Oliveira il plauso di quanti sanno e
sentono quello che è una vera nobiltà, che aiuti il popolo ad essere
sempre quello che Pio XII raccomanda, ossia un vero popolo animato da
un'animo degno di essere chiamato cristiano, e che non capitoli di fronte
al rischio di diventare una massa anorganica e inerte, trascinata nelle
più svariate direzioni dalla psico-dittatura dei grandi gruppi
pubblicitari.
Sao
Paulo, 25 de março de 1993
Luiz de Orléans e
Braganza