Chi era davvero l’arciduca
Franz Ferdinand, il cui assassinio, il 28 giugno 1914, ha provocato lo scoppio
della Prima guerra mondiale? A presentare un ritratto originale e del tutto
inedito di Francesco Ferdinando d’Austria-Este, nella prima biografia in Italia
a lui dedicata, è il libro dello storico Roberto Coaloa, per i tipi di
Parallelo 45 Edizioni, con il titolo Franz Ferdinand. Da Mayerling a Sarajevo. L’erede al
trono Francesco Ferdinando d’Austria-Este (1863-1914).
Una domenica di giugno,
cento anni fa, avvenne il fatto che divide nettamente in due la storia del
nostro tempo: nell’attentato di Sarajevo furono uccisi l’arciduca Francesco
Ferdinando e sua moglie Sophie. Prima di quel giorno, esisteva un mondo che
presto sembrò antico. Dopo quel giorno, è già il nostro presente. Se le
osserviamo da vicino, quelle ore attraversate da un fato beffardo e inesorabile
appaiono gremite di fantasmi, come quello di Rodolfo e dell’Imperatrice
Elisabetta, e piene degli ultimi atti e del rovello interiore del personaggio
più tragico della Duplice Monarchia, l’Imperatore Francesco Giuseppe, che si
inquieta per i funerali del nipote Franz Ferdinand come se tutto il resto (la
minaccia di una guerra mondiale) non contasse. Sfila la diplomazia cinica della
belle époque, accanto ai ragazzini dell’attentato di Sarajevo, Gavrilo Princip e
Nedeljko Čabrinović, in un valzer irresistibile, divertissements di una Vienna fin de siècle. Franz Ferdinand finirà dissanguato sotto i
colpi di Sarajevo. Nessuno saprà aprirgli l’uniforme, cucitagli addosso a filo
doppio.
Il volume di quattrocento
pagine, con un archivio fotografico inedito, è arricchito da una prefazione
dell’Arciduca Martino d’Austria-Este e da una postfazione di Luigi Mascilli
Migliorini, professore di storia moderna e accademico dei Lincei, che osserva: «È
difficile spiegare meglio di Roberto Coaloa il senso di una data come il 28
giugno 1914; una data che non può certo vantare la gloria di altre, squillanti
di attese – il 14 luglio del 1789 ad esempio –, ma che come poche altre ha assunto
il peso di una cesura tra tutto quello che c’è stato prima e tutto quello che è
avvenuto poi».
L’Arciduca Martino
d’Austria-Este ci riporta al centenario della Prima guerra mondiale, notando: «Il
presente lavoro, che lo storico Roberto Coaloa ha dedicato al mio pro-prozio
Franz Ferdinand, l’erede al trono degli Asburgo, assassinato a Sarajevo con la
moglie, il 28 giugno 1914, è un importante studio che ci fa comprendere il
dramma della Grande Guerra e le sue origini più profonde. Il conflitto mondiale,
che invase l’Europa nell’estate del 1914, portò alla mobilitazione di 65
milioni di soldati e provocò milioni di perdite, anche fra i civili. La stima
attuale è 20 milioni di morti e 21 milioni di feriti. Le dittature comuniste,
naziste, fasciste, la Seconda guerra mondiale e molti problemi dell’attuale
Europa, non ancora unita culturalmente, derivano da questa immane catastrofe
innescata dalla morte di Franz Ferdinand».
Roberto
Coaloa (già autore della biografia di successo Carlo d’Asburgo l’ultimo Imperatore. Il “gentiluomo europeo” profeta di
pace nella Grande Guerra) indaga in profondità la vita di Franz Ferdinand,
scoprendo il suo amore per la civiltà giapponese, il suo buon senso in
politica, scovando testimonianze dei contemporanei e documenti inediti. Ci
suggerisce lo storico: «L’arciduca, se fosse salito al trono, avrebbe salvato
il secolare Impero degli Asburgo dalla catastrofe».
Roberto Coaloa
(Casale Monferrato, 1971) è storico, critico letterario e scrittore, esperto di
Risorgimento e Novecento, docente universitario e autore di saggi dedicati ai
viaggiatori dell’Ottocento. Ha approfondito il pensiero del
grande scrittore russo Lev Tolstoj, del quale ha scoperto alcune lettere e
testi inediti, pubblicando per Feltrinelli il saggio Guerra e rivoluzione.
È studioso degli Asburgo, in particolare dell’ultimo Imperatore Carlo.
È
professore all’università di Paris-IV Sorbonne. È stato docente all'Università
Statale di Milano nel corso di Scienze delle Comunicazioni, dove ha avviato un
laboratorio di scrittura, diventato oggi un blog. È docente alla Summer School «L’impresa
culturale nel Mediterraneo» dell’Università Orientale di Napoli, per la
creazione di eventi, promozione e sviluppo del marketing nel territorio
mediterraneo. Dal 2002 collabora al supplemento culturale del Sole 24 Ore, dal
2012 con il quotidiano Libero e dal 2018 con il quotidiano La Stampa.
Martino
d’Austria-Este
(Boulogne-sur-Seine, 1959) È figlio dell’Arciduca Robert d’Autriche-Este (nato
nel castello di Schönbrunn, l’8 febbraio 1915, morto a Basilea il 7 febbraio
1996), terzogenito dell’imperatore Carlo e dell’imperatrice Zita, e della
principessa Margherita di Savoia-Aosta (nata a Capodimonte, il 7 aprile 1930),
figlia di Amedeo di Savoia, III duca d’Aosta (1898-1942), e della principessa
di Francia Anne-Hélène Marie d’Orléans (1906-1986). “Martino” è quindi il
nipote di due nonni illustri: Carlo, l’ultimo imperatore, e Amedeo, vicerè
d’Etiopia, morto a Nairobi, il 3 marzo 1942, dopo la resa sull’Amba Alagi.
L’Arciduca vive
in Italia, a Sartirana Lomellina (PV), dove svolge la sua attività di
imprenditore agricolo. È sposato alla principessa Katharina von Isenburg, dalla
quale ha avuto quattro figli: Bartolomeo, Emanuele, Elena e Luigi.
POSTFAZIONE
DI LUIGI MASCILLI MIGLIORINI
È
difficile spiegare meglio di Roberto Coaloa in questo bel volume, Franz
Ferdinand. Da Mayerling a Sarajevo. L’erede al trono Francesco Ferdinando
d’Austria-Este (1863-1914), il senso di una data come il 28 giugno 1914;
una data che non può certo vantare la gloria di altre, squillanti di attese –
il 14 luglio del 1789 ad esempio -, ma che come poche altre ha assunto il peso
di una cesura tra tutto quello che c’è stato prima e tutto quello che è
avvenuto poi.
L’attentato
di Sarajevo è, senza possibilità di dubbio, il momento in cui la finis
Europae, tante volte annunciata, si materializza in forma definitiva,
irrevocabile. E se poi accade – come in realtà è accaduto – che questa fine si
sia trascinata assai più a lungo di quanto potesse prevedersi, al punto che
ancora oggi ne guardiamo e ne commentiamo gli ultimi, preoccupanti e
melanconici esiti, Sarajevo si staglia come il giorno che orienta, indirizza
tutti i discorsi possibili sul tramonto della civiltà europea.
La
figura che la storia lega indissolubilmente a quella data e a quel luogo è
l’erede al trono dell’Impero asburgico, Francesco Ferdinando d’Austria-Este;
figura destinata, tuttavia, davanti alla grandezza dell’evento che allora si
produce e a tutto quello che da esso si genera, a rimanere nell’ombra,
personaggio alquanto incolore a cui, nella distribuzione delle parti nella
tragedia, il regista riserva il ruolo di occasionale, anonimo pretesto per lo
scatenarsi del dramma.
È
giusto, quindi, che oggi – a cento anni da quel giorno – ci si interroghi con
maggiore attenzione su questo personaggio, si indaghi attentamente, quasi
affettuosamente, come fa Roberto Coaloa, il formarsi di un’esistenza che
altrimenti sembrerebbe essere venuta al mondo solo per trovarsi casualmente una
domenica mattina di giugno in una strada di una città balcanica, per consentire
al Destino (altri la chiamerebbero la Storia) di svolgere il proprio disegno.
Le sue letture, i suoi viaggi, le sue passioni, l’amore tenace per una donna,
Sophie Chotek, che egli sposa anche forzando le convenienze di una Corte,
quella asburgica, particolarmente legata ai modelli della tradizione, non
possono, insomma, essere stati solo dei trascurabili particolari di una vita
che trova la sua ragione (non oso dire la sua gloria) nel diventare il casus
di un suicidio collettivo.
Si
provi, dunque, a immaginare, con l’aiuto di queste pagine, una vita scritta
come sono normalmente le vite, a partire dall’inizio e non dalla fine. Se ne
apprezzino i successivi arricchimenti, i crocevia, i dubbi e le scelte, le
casualità che solo la tragedia di Mayerling indirizza verso un esito inatteso e
fatale. Ci si spinga persino – come l’autore sollecita a fare – fino al punto
di immaginare un mondo diverso nel quale Franz Ferdinand non viene ucciso a
Sarajevo il 28 giugno 1914, non scoppia la guerra in Europa e l’Impero
asburgico riesce, anche grazie alla visione politica del successore di
Francesco Giuseppe, a risolvere i difficili problemi che il suo lungo regno,
nato sulle barricate del 1848 e finito nelle trincee di Verdun, aveva
trascinato irrisolti. Si provi, dunque, il sottile piacere dell’ucronia di cui
è intessuto questo libro, non per sciocco desiderio di evasione dalle maglie
soffocanti della Storia quale essa, irrevocabilmente, è stata; al contrario,
per capire meglio questa Storia e, una volta capita, avere con essa un rapporto
meno obbligato, meno opprimente.
Roberto
Coaloa ricorda, assai opportunamente, che Franz Ferdinand si muoveva ancora
nella scia della tradizione, mai definitivamente smarritasi a Vienna, che si
era incarnata nella prima metà del secolo XIX nella figura del principe di
Metternich. A lui si dovevano alcuni assunti fondamentali che avevano garantito
la sopravvivenza dell’Impero asburgico durante la tempesta napoleonica, ne
avevano assicurato la centralità politica dopo il Congresso di Vienna, gli
avevano consentito di superare la crisi tutt’altro che trascurabile dei domini
italiani, rimanendo al centro dell’equilibrio continentale. Questi assunti, sul
piano delle relazioni internazionali, possono riassumersi, da un lato, nel
mantenimento della integrità dell’Impero ottomano e, dall’altro, nella radicale
diversità di orizzonti dalle aspirazioni all’unità tedesca; nella distanza
profonda che – al di là di ogni opportuna e contingente alleanza – avrebbe
diviso l’Austria dalla Prussia.
Su
entrambi questi punti-chiave la politica asburgica si era assai allontanata
dalla ispirazione di Metternich e si presentava, il giorno prima di Sarajevo,
sostanzialmente indebolita nelle sue capacità di manovra e di mediazione
nell’inquieto scacchiere continentale. Per un verso, infatti, la diplomazia
austriaca si era “accomodata” nella Triplice Alleanza in una condizione di
progressiva subalternità alla potenza tedesca, che era una condizione non solo
politica e militare (forse inevitabile), ma una condizione, per così dire,
ideologica, nel senso che (e questo era inevitabile) il Reich guglielmino
appare via via a Vienna come il plausibile approdo del mondo tedesco, quasi un Anschluss
mentale e anticipato che il principe Metternich avrebbe contemplato con
orrore e preoccupazione, e con lui il suo discepolo Franz Ferdinand.
Per
altro verso – e su questo le osservazioni di Roberto Coaloa sono
particolarmente stimolanti – l’occupazione della Bosnia-Erzegovina nel 1908
segna un punto di non rottura e di non ritorno nella tradizione della
diplomazia asburgica. A partire da questa data, infatti, l’Austria non può più
ritenersi garante dell’integrità ottomana, ma questo significa, in termini più
generali, che l’Austria non è più la solida garante (le rocher avrebbe
detto Metternich) dell’equilibrio europeo così come esso si era costituito
cento anni prima nel Congresso di Vienna e come si era conservato attraverso le
molteplici crisi e perturbazioni di un lungo e complicato secolo.
Nel
sommarsi di questi due elementi la politica austriaca non avvertiva, tuttavia,
i profondi pericoli che vi nascondevano. Trascinata dall’Impero germanico a una
ridiscussione radicale dell’equilibrio europeo, Vienna non aveva la
preparazione, e soprattutto non aveva obiettivi capaci di reggere e rendere
accettabile lo sforzo drammatico che quella ridiscussione avrebbe comportato.
Sonnambulo tra i sonnambuli, l’Impero asburgico si consegna alla propria fine
senza quasi avvedersene. E qui certo fa eccezione Franz Ferdinand che Roberto
Coaloa mostra, al contrario, ben avvertito dei rischi di questa politica e
disposto a esplorare persino dei “rovesciamenti di alleanze” che avrebbero
potuto condurre l’Austria-Ungheria a una ripresa di relazioni, se non a
un’alleanza con le potenze occidentali.
Se
ciò fosse accaduto, Franz Ferdinand si sarebbe rivelato uno dei più
straordinari discepoli della duttile diplomazia metternichiana, un interprete
tardivo e felice della capacità dell’antico cancelliere di Francesco I, di
mantenere l’Austria al centro di un sistema di alleanze multiple e, dunque, al
centro dell’equilibrio europeo. Se ciò fosse accaduto nessuno, però,
ricorderebbe la data del 28 giugno 1914.