Esistono ancora le buone maniere e le regole di società delle famiglie di grande lignaggio? Poco o nulla ci dicono alcuni nobili con i capelli bianchi. Ecco perché (di Marisa Fumagalli)
Gli aneddoti valgono per quel che valgono. Ciò detto, citiamone uno, tratto dal blog Olgopinions
dell’ultraottantenne contessa e cronista mondana Olghina di Robilant.
Riguarda Amedeo di Savoia Aosta, l’eroe dell’Amba Alagi (1898-1942). «A
Torino — scrive — quando venne invitato a un cenone di aristocratici e
si accorse che il servitore di colore intento a porgere i vassoi con
giacca da domestico era un sovrano somalo (o forse etiope) che lo aveva
tenuto prigioniero durante le guerre italo-africane, Amedeo scattò in
piedi, costringendo gli ospiti a fare altrettanto, e dichiarò: “Mi avete
salutato con un inchino, allora vi prego di fare altrettanto con Sua
Maestà, che vi ha appena servito a questa tavola”. Il che avvenne con
l’imbarazzo di tutti». Seguono le considerazioni di Olghina su chi ha o
no la stoffa del vero aristocratico. Oggi, soprattutto, anche se i
titoli nobiliari in Italia sono stati aboliti nel 1948.
Più che la classe di nascita a certi rampolli interessa il dio denaro
Già,
che cosa resta delle buone maniere e delle regole di società delle
famiglie di grande lignaggio? Dei comportamenti consoni alla Cifra
Reale, per dirla con il titolo di un libro di storia e memoria,
pubblicato dal nipote di Amedeo di Savoia Aosta? Porta lo stesso nome,
il Duca contemporaneo, e ha 74 anni. Un’ala dei monarchici tricolore ha
sempre tifato per lui, contrapponendolo al cugino Vittorio Emanuele,
figlio dell’ultimo re d’Italia, Umberto II. Al telefono da Pantelleria
(dove si sta occupando di vite e vino assieme alla seconda moglie Silvia
Paternò di Spedalotto), esprime la sua opinione sull’argomento. Al
quale, Amedeo è sensibile come altri nobili avanti in età. Al netto
delle eccezioni, infatti, i giovani aristocratici si adeguano facilmente
al nuovo corso. Insomma, più che la classe di nascita a certi rampolli
interessa entrare nel regno del dio denaro. «I tempi sono cambiati —
ammette il Duca d’Aosta —. Diversamente da altri Paesi dove
l’aristocrazia è rispettata ed ha ancora un ruolo, in Italia la
tradizione, vanto della grandi famiglie, rischia di diventare un inutile
cimelio. I capisaldi dell’educazione severa, il senso dell’autorità
riconosciuta, vanno perdendosi. Ma questi valori non riguardano soltanto
noi. Sono trasversali. Oggi, capita spesso di trovarli nelle società
contadine». «Un vero aristocratico — continua il Duca — dovrebbe tenere
molto alla memoria, alla conservazione dei beni tramandati. Anche a
costo di sacrifici. Inorridisco di fronte a chi vende i quadri di
famiglia per comprarsi la Ferrari… Plaudo invece a chi ha capitalizzato
le proprie terre per avviare esemplari produzioni vinicole. In Toscana,
dove ho la mia residenza, ci sono importanti famiglie nobili che hanno
seguito con successo questa strada».
La vera nobiltà non consiste nel farsi chiamare altezza...
Le
piccole virtù di un autentico aristocratico? «Non dare del tu a tutti,
no alle pacche sulle spalle, portare un abbigliamento consono alle
occasioni e alle situazioni…». Eppure, alla voce «nobili irregolari»
troviamo figure leggendarie. Uomini e donne anticonformisti, tutt’altro
che compassati. L’importante è mantenere lo stile anche nella
trasgressione. E qui va ricordato l’estemporaneo bagno notturno nella
Fontana di Trevi di Olghina di Robilant, giovane: «Entrai vestita, dopo
aver scommesso 10 mila lire». L’episodio ispirò Fellini per una scena de
“La dolce vita” (1960). Comunque sia, «la vera nobiltà non consiste nel
farsi chiamare altezza, esibire diademi e coroncine…». Parola di
Olghina. Qualche anno fa, Raimonda Lanza di Trabia, ultrasessantenne, ha
firmato con la figlia Ottavia Casagrande il volume Mi toccherà ballare,
nel quale si narra la vita movimentata («Se avessi seguito le regole
non avrei fumato oppio… non avrei fuso 72 motori...») e la tragica fine
del padre Raimondo, suicida nel 1954 a Roma, lanciandosi nel vuoto da un
piano alto dell’Hotel Eden. Raimondo Lanza Branciforte, principe di
Trabia, nacque nel 1915 da una relazione adulterina del padre Don
Giuseppe; a causa delle leggi vigenti, rimase un «bastardo di lusso»
fino a 25 anni. Da ragazzino, tuttavia, visse in Sicilia con la nonna
Giulia Florio nel castello di Trabia, in mezzo a domestici in livrea,
sotto ferreo controllo; aveva perfino il confessore personale.
Gli aristocratici, nel nostro tempo, non hanno più una funzione
«Ben
altro fu il corso della sua esistenza — osserva ora la figlia Raimonda
—. Non l’ho conosciuto, ma so che era uno spirito libero, viveva a modo
suo. Rottura totale rispetto agli “intellettuali” nobili siciliani
dell’epoca. Un tipo modernissimo. Fu presidente del Palermo Calcio,
rimise in piedi la Targa Florio, e si cimentò con le corse in auto. Di
altri aspetti della sua vita narra un altro recentissimo libro, “Quando
si spense la notte”, firmato da mia figlia Ottavia». Dice ancora
Raimonda: «Mio padre era generoso, non faceva nulla per interesse. Non
esibiva il suo status. Era dotato di un forte senso dell’ umorismo;
credo di assomigliargli. Se penso, invece, a taluni cosiddetti nobili
d’oggidì… Che si prendono sul serio con i loro pranzetti, le case
aperte, l’etichetta di facciata… Ridicolo». «Gli aristocratici, nel
nostro tempo, non hanno più una funzione. Comunque, se hai un bel nome
lo si deve vedere dai fatti», chiude donna Raimonda, annunciando che sta
per andare a far pulizia nel giardino della sua casa, sulla collina
torinese.
Gaddo della Gherardesca abita a Milano ed è un nobile molto dinamico
Nel
mosaico degli aristocratici non può mancare Gaddo della Gherardesca,
discendente del conte Ugolino, personaggio cult della Divina Commedia
(«La bocca sollevò dal fiero pasto..»); la residenza di famiglia da 37
generazioni è il Castello di Castagneto Carducci. Ma lui, quasi
settantenne, abita a Milano ed è un nobile molto dinamico, pur legato
alle tradizioni. Presiede l’Associazione delle Dimore Storiche («Sono
35.000 le antiche case notificate da salvare»), network dove c’è spazio
per battaglie economiche e civili. «Le forme come segno di distinzione
degli aristocratici — nota —. La morale e l’etica sono l’architrave
delle buone maniere. Transitate, in verità, nella classe borghese. Dalla
morale discende il rispetto per il prossimo, l’etica riguarda i
comportamenti». «Oggi i costumi si sono imbarbariti — riflette —. Andare
alla deriva è facile. Viene meno un certo stile di vita poiché perdiamo
la memoria comune di cui dovremmo essere custodi».